Siria, da Qamishili e Idlib si alza la voce dei cristiani: “Basta guerra! Pagano solo i più deboli e gli innocenti”
Qamishili e Idlib sono le zone nel nord della Siria, vicine al confine turco, dove ancora si combatte. A fronteggiarsi in una sorta di 'tutti contro tutti' sono l'esercito siriano, con il suo alleato russo, quello turco, le milizie curdo siriane, i ribelli anti-Assad, i jihadisti di Hayat Tahrir al -Sham e gli Usa. A pagare le conseguente di questa guerra sono le popolazioni. Oltre 34 bambini sono rimasti uccisi nelle ultime 4 settimane, 8 solo durante gli attacchi alla città di Tal Rifaat, a nord di Aleppo. Il Sir ha raccolto le testimonianze da queste zone di combattimento
Cinquecento chilometri circa separano Qamishili da Idlib, le due zone nel nord della Siria, vicine al confine turco, dove ancora si combatte. Idlib rappresenta l’ultimo bastione rimasto in mano ai ribelli armati e ai terroristi, anche stranieri, del fronte jihadista di Hayat Tahrir al-Sham. Qui da mesi è in atto lo scontro armato con l’esercito regolare siriano e i suoi alleati russi. Qamishili, città curda del nord est siriano, al confine turco, è stato teatro degli scontri tra forze curde e esercito turco dopo l’offensiva, partita il 9 ottobre per ordine del Presidente Erdogan, contro le Fds (Forze democratiche siriane) curdo-arabe, considerate terroristi dalla Turchia. In questo quadro di tensione a Qamishili è stato ucciso il parroco armeno-cattolico di san Giuseppe, Ibrahim (Hovsep) Hanna. Un attentato rivendicato dall’Isis che, come se non bastasse, ha fatto ripiombare la comunità cristiana locale nella paura.
Qamishili. “Non ci sentiamo al sicuro, la sensazione è che qualcosa di grave possa ancora accadere”. Fatica a riprendersi la comunità cristiana di Qamishili dopo l’assassinio di padre Ibrahim (Hovsep) Hanna, e di suo padre. Era l’11 novembre quando il sacerdote è stato freddato da due uomini mentre, insieme al genitore che era in auto con lui, si dirigeva verso Hassakè. “La comunità e il clero vivono una sorta di psicosi, la sensazione palpabile è che ci possano essere ancora attacchi – dichiara al Sir padre Antonio Ayvazian, vicario episcopale della comunità armeno-cattolica dell’Alta Mesopotamia e della Siria del Nord –.
La paura è diffusa ma cerchiamo di continuare la nostra vita e la nostra missione, soprattutto ora che abbiamo cominciato il tempo di Avvento.
Ma con qualche cautela in più, specialmente per gli spostamenti verso altre città. Ci muoviamo con discrezione, senza comunicare orari, modifichiamo gli itinerari, non usiamo auto rese riconoscibili da adesivi o permessi che possono ricondurre alla Chiesa. Lo stesso per le celebrazioni. Vigiliamo e siamo prudenti”. “Lo stato d’animo di tutta la comunità risente di quanto è accaduto ma non perdiamo la speranza” conclude il vicario ribadendo quanto già affermato durante i funerali dei “due martiri”: “non vogliamo vendetta. Il martirio di padre Hanna e del papà è un ulteriore segno di testimonianza dell’amore che Gesù ha riversato su tutti gli uomini. Abbiamo perdonato, come ci insegna Gesù Cristo. Il sangue versato di questi martiri farà germogliare frutti di fede, di amore, di pace e di bene per tutti”.
Riguardo la situazione al confine tra Siria e Turchia padre Ayvazian afferma che “l’esercito siriano ha preso il controllo di circa 200 km. di confine. Si tratta in realtà di posti di controllo di polizia, privi però di armamenti pesanti”. Parole che vanno a confermare in qualche modo il quadro “statico” delle ultime settimane che ha visto le Fds (Forze democratiche siriane) curdo-arabe, rimpiazzate dall’esercito lealista siriano, e dal suo alleato russo, con compiti di interposizione volto a frenare l’intervento turco. In questo panorama spicca, anche, il ritorno degli Usa a operazioni militari contro lo Stato Islamico nel nord e nell’est della Siria, nonostante svariati annunci di ritiro di truppe pronunciati dal presidente Donald Trump. In queste nuove operazioni gli Usa sono appoggiati dai curdi siriani, gli stessi che erano stati scaricati dagli americani, favorendo di fatto l’offensiva turca nel nordest della Siria.
Idlib. Ad Idlib si sta consumando la resa dei conti tra l’esercito siriano, ribelli armati e il fronte jihadista di Hayat Tahrir al-Sham, (affiliato ad Al-Qaeda ed erede del più conosciuto Jabhat Al Nusra, ndr.). “I combattimenti tra l’esercito regolare e i jihadisti, sono intensi e si stanno avvicinando anche ai nostri villaggi cristiani di Knaye, Gidaideh e Yacoubieh”.
“Si combatte a pochi chilometri da qui” racconta al Sir padre Hanna Jallouf, francescano della Custodia di Terra Santa e parroco latino di Knaye, nella Valle dell’Oronte. “Da tre giorni assistiamo a bombardamenti. L’intenzione dell’esercito siriano – si sente dire – è riaprire vie di comunicazione ritenute strategiche, tutto in accordo con Russia e Turchia. Ma la risposta jihadista si fa sentire, hanno armi e un gran numero di miliziani. Attaccano l’esercito siriano quando cala la nebbia perché questa impedisce l’uso degli aerei rendendo i soldati di Assad più facili da colpire. Si ritirano quando invece esce il sole”.
“A pagare questa guerra sono solo gli innocenti, i bambini, i più piccoli”.
Il pensiero di padre Jallouf va agli oltre 34 bambini uccisi nelle ultime 4 settimane in Siria settentrionale, 8 solo durante gli attacchi alla città di Tal Rifaat, a nord di Aleppo. La parrocchia di padre Hanna da sempre ha aperto le sue porte a tutti coloro che, a causa della guerra, sono stati costretti alla fuga e a vivere da sfollati ma adesso sta diventando tutto più difficile perché c’è un’altra guerra che sta minando le forze residue della popolazione che abita in questa area.
“È la guerra della povertà alimentata dal carovita e dall’embargo internazionale che fa paura – denuncia padre Jallouf -. Il dollaro oggi vale 900 lire siriane, un mese fa ne valeva circa 500. Se prima potevamo comprare due-tre chili di riso oggi nemmeno un chilo. La comunità cristiana, come il resto della popolazione, cerca di sopravvivere. Ma non è facile”.
Ad alimentare la speranza nella fine della guerra, dopo quasi 9 anni, giunge adesso il Natale. “Domenica ci siamo ritrovati nella chiesa di san Giuseppe qui a Knaye, adornata con il viola come chiede il tempo liturgico, per celebrare la prima Domenica d’Avvento. Attendiamo la venuta di Cristo, Principe della pace e Signore della nostra salvezza”. Intanto oggi nei locali parrocchiali, “perché fuori non possiamo fare nulla”, si raduneranno i bambini per la festa di santa Barbara. “Abbiamo organizzato una festa in maschera per regalare un po’ di svago a questi nostri piccoli figli che soffrono tantissimo. Sarà un anticipo della gioia del Natale. Basta guerra vogliamo la pace”.