Rom, 21 luglio: “Il piano della giunta Raggi? Un fallimento”
A 30 mesi dalla presentazione di quello che lo stesso Grillo definì un “capolavoro”, l’associazione denuncia la poca trasparenza e gli esiti fallimentari: dal decremento dei minori rom iscritti a scuola del 56% all’aumento degli insediamenti informali, oggi più di 300. Stasolla: “Serve un tavolo cittadino per ristabilire un clima di fiducia"
ROMA - Era stato definito “un capolavoro” dallo stesso Beppe Grillo, un piano rom per la capitale che avrebbe sancito “l’inizio della fine per una vergogna durata decenni” scriveva invece l’attuale sindaco Virginia Raggi in un post del 2017 apparso sul vecchio sito dell’allora leader del Movimento 5 stelle. Eppure il piano non sembra aver avuto gli effetti sperati: solo negli ultimi 3 anni, ad esempio, si è assistito ad un decremento dei minori rom iscritti a scuola del 56%, ma colpisce anche il “travaso di circa 800 persone dagli insediamenti formali a quelli informali che nella Capitale sono saliti a più di 300”. A denunciare “gli intenti apprezzabili, ma con esiti fallimentari” del piano della giunta Raggi è l’associazione 21 luglio che oggi a Roma, presso la sala stampa della Camera dei deputati, ha presentato un rapporto dal titolo “Dove restano le briciole. I propositi del piano rom e ciò che rimane negli insediamenti della Capitale” sui primi 30 mesi del piano per la capitale. “Un piano rom contraddittorio e poco trasparente - attacca l’associazione -, mai condiviso con la cittadinanza e caratterizzato dal rifiuto a qualsiasi supporto esterno, compresa l’adesione a programmi europei, accompagnato da una narrazione poco aderente alla realtà. Un piano le cui azioni hanno avuto un impatto quasi insignificante se rapportate alle ingenti somme di denaro impegnate”. La presentazione del piano, infatti, risale al 31 maggio 2017, ma a due anni e mezzo dal lancio “l’amministrazione capitolina non ha mai provveduto a rendere pubbliche le relazioni di monitoraggio al fine di condividere il reale impatto delle azioni previste dal piano”, spiega l’associazione 21 luglio. “L’azione della giunta è stata caratterizzata da scarsa trasparenza - si legge nel rapporto - e quando numeri e dati sono stati prodotti, gli stessi non sempre hanno trovato aderenza con la realtà fattuale”. Come spiega il presidente dell’associazione, Carlo Stasolla: “Nel 2017 Roma ha comunicato ad un’agenzia della Commissione europea nero su bianco che sulla questione rom nel 2017 si erano spesi 6 milioni di euro - spiega Stasolla -, ma solo dalle carte che abbiamo noi risultano almeno 10 milioni di euro spesi”.“Purtroppo era prevedibile - continua Stasolla -. È un piano che si fonda sulla non conoscenza del problema e delle questioni con una visione e un approccio fortemente paternalistico. Un piano che non poteva funzionare”. I dati raccolti dalla 21 luglio sono preoccupanti. “Sono anzitutto i numeri a fornire i primi elementi del fallimento delle azioni del piano - spiega l’associazione -: il “Patto di Responsabilità Solidale” che rappresenta il “vincolo contrattuale” che lega l’amministrazione ad ogni nucleo che intende partecipare alle azioni inclusive del piano negli insediamenti di prossimo superamento (La Barbuta e Monachina) è stato sottoscritto solo dal 19% delle famiglie. Sotto il profilo alloggiativo non risulta siano stati erogati supporti per il buono casa; sul versante lavoro, ad eccezione di tirocini e borse lavoro, non sono mai partite le startup previste dal piano; nella progettualità di recupero ambientale una sola persona risulta essere stata coinvolta. Drammatici sono i numeri sul fronte scolastico dove negli ultimi 3 anni si è assistito a un decremento dei minori rom iscritti del 56%”. Più di cento, invece, gli “sgomberi forzati” registrati dal giorno della presentazione del piano “con un impegno di spesa stimato dall’associazione in 3,3 milioni di euro”, spiega l’associazione. Inoltre, denuncia il rapporto presentato oggi, “rappresenta un allarme la volontà dell’amministrazione comunale di realizzare nuovi centri di raccolta per soli rom riproponendo soluzioni abitative già sperimentate nel passato con evidenti fallimenti”. Per Stasolla è “un film già visto - aggiunge - dove per chiusura dei campi non si intende il loro superamento in termini inclusivi, ma in parte l’allontanamento delle persone senza documenti, e in parte la collocazione dei restanti in strutture monoetniche, centri di raccolta rom che il comune, in realtà, afferma di voler superare. È quello che temiamo per La Barbuta che dovrà essere chiuso necessariamente entro il 31 dicembre 2020 il perché si tratta di una progettualità europea”. Preoccupano anche le conseguenze del decreto Salvini. “Ci sono centinaia di famiglie che stanno andando verso l’invisibilità giuridica - spiega Stasolla -. Con il decreto non potranno vedere rinnovato il permesso di soggiorno e dovranno uscire dai campi”. Un’amministrazione chiusa ad ogni confronto, lamenta l’associazione, come dimostrano anche recenti iniziative a cui la capitale non ha partecipato, al contrario di altre città italiane, spiega Carlo Stasolla. “Dall’anno scorso è stata avviata un’importante progettualità europea: circa mezzo milione di euro di fondi europei gestiti dall’Unar per supportare 7 città metropolitane, tra cui la città di Roma, in un percorso di istituzione di tavoli per la revisione dei piani d’azione locale. Per Roma sarebbe stata un’occasione formidabile per rivedere il piano con il supporto di un’expertise esterna, ma la capitale, dopo aver aderito inizialmente, ne è uscita fuori. Un segnale chiaro di un’amministrazione che anche con l’Unar e con fondi europei non ha il coraggio di mettere in discussione quello che è il proprio lavoro. Un’amministrazione arroccata non solo nel non ricevere i pareri da parte del terzo settore, ma anche in progettualità europee”. Al comune di Roma, l’associazione chiede quindi una “battuta di arresto” per un piano considerato dalla 21 luglio come “treno senza freni”. “Piuttosto che fare un elenco di richieste abbiamo preferito chiedere di sospendere ogni azione futura - spiega Stasolla -, e di creare uno spazio di confronto dove mettere le carte in tavola, dire come stanno le cose e provare a ripartire per salvare il salvabile. C’è scarsa trasparenza e laddove vengono dati i numeri all’esterno non sono neanche numeri esatti. Per questo serve un tavolo cittadino dove si possano dire esattamente come stanno le cose e ristabilire un clima minimo di fiducia tra tutte le parti per poter ripartire da qui fino al termine della giunta”. Se non si dovesse intervenire, mette in guardia l’associazione, il piano “continuerà a naufragare e ancora una volta assisteremo, come nel passato, allo sperpero di denaro pubblico accompagnato da violazioni sistematiche dei diritti umani”.