Preti in prima linea, si rimane nonostante il pericolo a fianco della gente
La guerra ha cambiato in profondità anche la “geografia” fisica e spirituale della Chiesa in Ucraina. “Siamo diventati – osserva don Taras Zheplinskyi - una chiesa unita attorno al comandamento di amare Dio e il prossimo. Una Chiesa, che nonostante il pericolo, rimane e sceglie di stare a fianco della gente che soffre. Una Chiesa che cerca di proteggere e salvare la vita. Una Chiesa al servizio di tutti, nella società. Una Chiesa dove tutto è condiviso e se c’è una parte che soffre, tutti, in Ucraina e nel mondo, sentono e vivono quella stessa sofferenza”.
Una mappa continuamente aggiornata e on line, per segnalare in tempo reale alle persone fuggite dal Paese, dove possono trovare, ovunque si trovano, chiese, parrocchie e strutture della Chiesa. Per chi ha deciso di rimanere, in tutto il paese, preti e religiosi sono rimasti nelle loro parrocchie, a meno che non ci sia un pericolo diretto alla vita. E lì, ovunque c’è una chiesa, chiunque può trovare un rifugio, un aiuto, beni di prima necessità. La Chiesa al tempo della guerra come cambia, come si adegua alle necessità, come segue gli eventi sul campo a fianco delle persone. A raccontarcela è don Taras Zheplinskyi, del Dipartimento di comunicazione della Chiesa greco-cattolica ucraina.
In connessione con gli eventi militari, l’Ucraina e l’Unione europea hanno affrontato una crisi migratoria senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale. Secondo l’ONU, a fine marzo 2022, circa 4 milioni di persone hanno lasciato il Paese. Per questo motivo, il sito della Chiesa greco-cattolica ucraina ha pubblicato una mappa on line continuamente aggiornata dove è possibile trovare l’indirizzo della chiesa, le coordinate per trovarla, una foto, gli orari di apertura e dei servizi, una breve storia. Il progetto, in realtà, era nato nell’anno del Giubileo della Misericordia. Ma in queste ore, è stato aggiornato e riproposto per le tante persone che a causa del conflitto, hanno cambiato luogo di residenza. “Invitiamo le persone che ovunque si trovano – dice don Taras -, di cercare la nostra chiesa, di venire a trovarci, partecipare alle liturgie e alle preghiere comuni. È un’occasione per mantenere il contatto con la propria patria. Tanti, prima della guerra, sono emigrati in cerca di lavoro. Ma ora la gente è uscita dal paese in fuga dalla guerra. Alcuni non sono mai stati all’estero. Non lo hanno fatto per scelta ma sono stati obbligati.
A queste persone vogliamo dire che ovunque si trovano, possono trovare chiese con preti ucraini e gente ucraina che celebra nella nostra lingua e nel nostro rito, con la stessa liturgia. La chiesa vi aspetta, saremo la vostra casa ovunque vi troviate”.
E’ troppo presto invece per diffondere un censimento preciso dei parroci che sono rimasti. Anche perché la situazione di crisi è in continua evoluzione e le cose cambiano ogni giorno. Ogni vescovo naturalmente conosce la situazione nella sua eparchia o esarcato. All’inizio della guerra – racconta don Taras – ogni vescovo ha invitato i parroci a non lasciare la parrocchia. In senso generale quindi si può dire che tutti i preti attualmente in Ucraina sono rimasti nelle loro parrocchie, purché ovviamente non esista un pericolo diretto alla loro vita”. Tanti sacerdoti si trovano in città occupate. E’ il caso del parroco di Slavutych, città dell’Oblast di Chernihiv, nel Nord dell’Ucraina. E’ rimasta per scelta con lui anche sua moglie che ha da poco partorito il loro terzo figlio, in questa città circondata dalla truppe russe, in un ospedale senza elettricità, a lume di candela. Questo è l’esempio eroico di un sacerdote, che nonostante avesse ottenuto la possibilità di fuggire ha detto al suo vescovo, S.B. Sviatoslav Shevchuk:
“non posso lasciare la gente che lei mi ha affidato. Sento un obbligo a rimanere con loro”.
L’Ucraina è stata attualmente divisa in tre zone a seconda del livello di pericolo. La zona 1 copre il territorio dove ci sono bombardamenti attivi e battaglie sul campo. In questa zona, i preti possono andare via ma ci sono esempi di sacerdoti che sono rimasti, nonostante gli attacchi continui dei russi e i pericoli. E’ il caso della città di Chernihiv, nel Nord del paese: anche se la città è occupata, i monaci redentoristi hanno scelto di rimanere e continuano a svolgere il loro lavoro, celebrando liturgie e momenti di preghiera e condividendo gli aiuti umanitari che ricevano. La zona 2 è la zona che si trova vicino al “fronte”. E’ diventata luogo di prima accoglienza.
Le parrocchie sono i primi rifugi che le persone in fuga, incontrano.
Questa zona copre soprattutto l’Ucraina centrale e del Sud. Qui il 100% dei sacerdoti è rimasto e sta facendo un servizio sociale molto attivo. Le parrocchie sono anche punti di ricezione e ridistribuzione degli aiuti umanitari che arrivano dall’Europa e raggiungono non solo le persone più vulnerabili e sole ma anche i villaggi nelle periferie. La zona 3 è la zona più tranquilla ed è la parte dell’Ucraina occidentale con Leopoli e Ivano-Franzisk, dove sono arrivati e sono rimasti tantissimi rifugiati, dove si riceve tutto l’aiuto umanitario che viene dall’Europa – da Polonia, Slovacchia, Ungheria, Italia, Portogallo, Germania, Spagna. Gran Bretagna e Francia – e si ridistribuisce alle zone numero 2 e da lì fino alle città occupate. Purtroppo, non si riesce ad entrare dappertutto, come per esempio nella città di Mariupol dove “nessuno può entrare, neanche i sacerdoti e proprio per questo si sta consumando una vera tragedia umanitaria”.
La guerra dunque ha cambiato in profondità la “geografia” fisica e spirituale dell’Ucraina. “Siamo diventati – osserva don Taras – una chiesa unita attorno al comandamento di amare Dio e il prossimo. Una Chiesa, che nonostante il pericolo, rimane e sceglie di stare a fianco della gente che soffre. Una Chiesa che cerca di proteggere e salvare la vita. Una Chiesa al servizio di tutti, nella società. Una Chiesa dove tutto è condiviso e se c’è una parte che soffre, tutti, in Ucraina e nel mondo, sentono e vivono quella stessa sofferenza”.