Presidenti di Regione e il punto del terzo mandato
Il principio è chiarissimo, ma la guida di una Regione è diventata una posizione di potere di primaria rilevanza
In punto di diritto la questione del no al terzo mandato dei presidenti delle Regioni è persino semplice. Ma il vero problema è tutto politico e investe delicate questioni di equilibrio democratico. Procediamo con ordine. L’art.122 della Costituzione afferma che “il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi”. Forse mai come in questa occasione il principio fissato dalla legge della Repubblica (la 165 del 2004) appare netto e, per così dire, auto-applicativo. Esso stabilisce, infatti, “la non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto”. Il principio, dunque, è chiarissimo, ma la guida di una Regione è diventata una posizione di potere di primaria rilevanza e, per poter svolgere un altro mandato dopo ben dieci anni di presidenza, i “governatori” in carica si sono inerpicati in un’interpretazione quanto meno controversa della norma. Il computo, si sostiene, dev’essere effettuato a partire dal varo della legge regionale che recepisce il principio della normativa nazionale. Una tesi che, presa alla lettera, permetterebbe alle regioni di bloccare “a piacere” gli effetti della norma statale e di non tener conto dei mandati già svolti. Non è solo un’ipotesi: la legge della Repubblica, ricordiamo, è del 2004, ma in Veneto il recepimento è avvenuto nel 2012 con decorrenza dal 2015, in pratica più di dieci anni dopo, e in Campania addirittura nel novembre scorso, a oltre vent’anni di distanza. Gli esempi non sono casuali: in Veneto Zaia e in Campania De Luca sono due presidenti di grande popolarità e sono in prima linea nel rivendicare il terzo mandato sentendosi in grado di sfidare anche i rispettivi partiti e schieramenti di appartenenza.
Stavolta il Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Campania davanti alla Corte costituzionale, con la Lega che fa resistenza e rilancia la richiesta di modificare la normativa nazionale aprendo al terzo mandato. FdI e Forza Italia difendono l’assetto attuale, così come il Pd – insieme a M5S e Avs – sul versante opposto.
Sull’argomento la Corte costituzionale si è indirettamente già pronunciata con la sentenza n.60 del 2023, dichiarando illegittima una legge della Regione Sardegna che riguardava i mandati dei sindaci, per i quali vige il medesimo limite dei due mandati consecutivi. Limite che è stato introdotto, scrive la Consulta, “quale temperamento ‘di sistema’ rispetto alla contestuale introduzione della loro elezione diretta”. Citando una delibera del Consiglio di Stato, i giudici costituzionali sottolineano che “la previsione di un tale limite si presenta quale ‘punto di equilibrio tra il modello dell’elezione diretta dell’esecutivo e la concentrazione del potere in capo a una sola persona che ne deriva’: sistema che può produrre ‘effetti negativi sulla par condicio delle elezioni successive, suscettibili di essere alterate da rendite di posizione’”. Non si tratta di lasciare liberi i cittadini di continuare a votare un leader stimato, ma di far sì che il loro voto sia effettivamente libero. Una democrazia senza ricambio è una caricatura di democrazia.