“Migranti fuori dall’Ue”: 15 Stati sconfessano il Patto. Evocato il modello-Ruanda

“Riteniamo che per affrontare le cause alla radice della migrazione irregolare e gestire i movimenti migratori verso l’Ue, sarà necessario che tutti noi pensiamo fuori dagli schemi e troviamo insieme nuovi modi per affrontare questo problema a livello europeo”. Lo si legge in un documento firmato da quindici Stati dell'Unione, fra cui l'Italia. Testo elettorale o tentativo di rispondere efficacemente a migrazioni e tratta? Il commento di Ambrosini: "Si sta disegnando una Ue orientata alla riduzione dell’accoglienza dei profughi, ma divisa tra chi mantiene un certo attaccamento ai valori umanitari e chi ha elevato la difesa dei confini a principio inderogabile"

“Migranti fuori dall’Ue”: 15 Stati sconfessano il Patto. Evocato il modello-Ruanda

Il Patto su migrazione e asilo è nato da pochi giorni eppure 15 Stati membri dell’Unione europea stanno già chiedendo “nuove soluzioni” che includono la possibilità di trasferire (deportare?) i migranti verso Paesi extra-Ue. La lettera inviata ieri alla Commissione europea sta suscitando dibattito: non a caso – si potrebbe osservare – il tema viene sollevato in piena campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo.
I firmatari della missiva (la Commissione ha chiesto tempo per rispondere al documento) sono: Austria, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca e Romania. Mancano “firme” di peso come quelle di Germania, Francia e Spagna. Assente anche l’Ungheria di Orban che proprio non intende considerare migrazioni e migranti.
I proponenti propongono meccanismi per “individuare, intercettare e, in caso di difficoltà, soccorrere migranti in alto mare e condurli in un luogo sicuro di un Paese partner fuori dall’Ue, dove soluzioni durature potrebbero essere trovate per questi migranti”. I “modelli” cui si rifanno i Quindici – accordi con Turchia, Tunisia e Albania (da parte dell’Italia) – non appaiono dei migliori, e neppure dei più efficaci, in chiave di risposta al fenomeno migratorio e alla tutela della dignità delle persone, e lo stesso diritto internazionale sembra rimanere fuori dalla porta.

Si insiste soprattutto sui rimpatri, evocando persino il modello-Ruanda di marca britannica, e l’esternalizzazione delle procedure di asilo.

Nel testo si legge: “Incoraggiamo il rafforzamento degli aspetti interni ed esterni del rimpatrio, per arrivare a un’efficace politica di rimpatrio dell’Ue”. A proposito degli hub in Paesi terzi per i rimpatriati si specifica: “Incoraggiamo la Commissione e gli Stati membri a esplorare potenziali modelli all’interno dell’attuale acquis dell’Ue (le regole comunitarie, ndr), oltre a considerare l’eventuale necessità di modifiche alla direttiva sui rimpatri”.
Ancora una sottolineatura: “Riteniamo che per affrontare le cause alla radice della migrazione irregolare e gestire i movimenti migratori verso l’Ue, sarà necessario che tutti noi pensiamo fuori dagli schemi e troviamo insieme nuovi modi per affrontare questo problema a livello europeo”.
Uno dei maggiori esperti di migrazione in Italia, il professor Maurizio Ambrosini, commenta oggi su “Avvenire”: “L’imminenza delle elezioni europee getta altra benzina sul fuoco dello sfruttamento delle questioni non facili delle politiche migratorie, ai fini della raccolta di consenso sulla linea della chiusura. Nel complesso, si sta disegnando un’Unione europea orientata alla riduzione dell’accoglienza dei profughi, ma divisa tra chi mantiene un certo attaccamento ai valori umanitari e chi ha elevato la difesa dei confini a principio inderogabile”. A proposito dei rimpatri, sui quali insistono i firmatari della lettera, “ciò che i governi non dicono è che sono parecchi i fattori in gioco: la difficoltà d’identificare con precisione gli interessati e il loro Paese di origine, la scarsa o nulla collaborazione di molti di questi Paesi, le situazioni di pericolo, di negazione di diritti fondamentali, di miseria a cui andrebbero incontro, nonché gli alti costi di trattenimento e deportazione. Espellere delle persone, tanto più verso luoghi lontani come la Cina o l’America Latina, con relativa scorta di polizia, costa migliaia di euro, sottratti ad altri impieghi forse più importanti per i cittadini”.“Chi abbia un minimo di sensibilità verso i diritti umani dovrebbe domandarsi che senso ha spedire una persona in un Paese con cui non ha nessun rapporto, di cui non conosce la lingua, in cui non saprebbe come procurarsi da vivere”.

Lo stesso Ambrosini pone la questione delle migrazioni – sulla quale nessuno può purtroppo vantare una soluzione ottimale – in un’ottica diversa: “È lecito domandarsi se si possono individuare delle alternative a questa linea pseudo-rigorista. Senza pretendere di vendere soluzioni semplici a problemi complessi, si può richiamare l’esigenza di manodopera e quindi l’opportunità pragmatica di trasferire i richiedenti asilo in possesso delle competenze necessarie nel canale dell’immigrazione per lavoro. Si possono immaginare forme di sponsorizzazione da parte di soggetti che sul territorio intendano farsi carico dell’accoglienza, sostenendone i costi. Esiste poi lo strumento dei ritorni volontari assistiti, oggi sotto-finanziati e sotto-utilizzati. Ciò che non serve sono ripetuti proclami che esibiscono una severità in ultima analisi inefficace”.

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Fonte: Sir