Il premier Conte atteso a Strasburgo per parlare del “futuro dell’Europa”
In vista dell’appuntamento con le urne, il Parlamento europeo ha promosso negli ultimi mesi una ventina di dibattiti con capi di Stato e di governo sul tema del “futuro d’Europa”. L’ultimo appuntamento della serie è stato il 31 gennaio con il premier finlandese Juha Sipilä; il prossimo politico che interverrà in emiciclo a Strasburgo sarà, il 12 febbraio, il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte
Mancano poco più di cento giorni al voto per il rinnovo dell’Europarlamento (23-26 maggio) e nei 27 Paesi Ue si scaldano i motori per la campagna elettorale. Slogan roboanti, (pochi) programmi politici, i primi nomi degli “Spitzenkandidaten” (candidati dei partiti europei alla presidenza della Commissione), molte parole d’ordine populiste: questo all’apparenza il panorama attuale, mentre fatica a decollare un confronto diffuso e costruttivo sul futuro dell’Unione. Proprio in vista dell’appuntamento con le urne, il Parlamento europeo ha promosso negli ultimi mesi una ventina di dibattiti con capi di Stato e di governo sul tema del “futuro d’Europa”. L’ultimo appuntamento della serie è stato il 31 gennaio con il premier finlandese Juha Sipilä; il prossimo politico che interverrà in emiciclo a Strasburgo sarà, il 12 febbraio, il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte. Discorso molto atteso il suo, data la particolare esposizione dell’Italia ai venti nazionalisti che – occorre riconoscerlo – è vista in vari Paesi e nelle sedi Ue con una certa preoccupazione.
Divisi sulle riforme. Ma cos’hanno detto i leader succedutisi nel corso dei dibattiti promossi dall’Europarlamento? Nel complesso si può affermare che le visioni politiche sull’integrazione europea spaziano – almeno a parole – da un europeismo convinto (“questa Europa è insostituibile”) a un euroscetticismo rafforzato (“meno Ue, più decisioni ai governi”), con una vasta gamma di sfumature intese a ribadire la necessità dell’Ue in un quadro globalizzato, puntando però a riformare la stessa Unione. Ed è sulle riforme che le visioni variano: c’è chi chiede espressamente “più Europa” e decisioni collegiali, chi invece mira a indebolire Parlamento e Commissione a tutto vantaggio di una Ue intergovernativa, dove siano gli Stati, riuniti nel Consiglio Ue, a dettare la linea usufruendo anche del potere di veto.
Alcuni esempi. Fra le molte voci che hanno discusso sul tema con gli eurodeputati, nel gennaio 2018 Leo Varadkar, taoiseach – cioè primo ministro – irlandese, ha affermato: “L’ideale europeo è sempre stato ispirato da uno spirito di ottimismo e di fiducia per un futuro migliore. Questo ideale è stato messo alla prova, ma non compromesso. Sulla base dei risultati del passato, abbiamo una rinnovata propensione ad affrontare le sfide del futuro”. Il primo ministro portoghese, Antonio Costa, intervenuto nel marzo 2018, ha dichiarato:
“Dobbiamo scegliere se continuare a promettere tanto e ottenere poco o se miriamo ad avere risultati” per realizzare pace, sviluppo, benessere, sicurezza, diritti.
“Condividere valori significa anche condividere doveri nel segno della solidarietà”, con un esplicito riferimento da parte di Costa alle migrazioni. Nel giugno successivo il premier olandese Mark Rutte ha detto che l’Ue deve “fare meno, per fare di più e meglio”: un discorso di taglio “europeista” il suo, senza per questo tacere i molteplici limiti e problemi dell’integrazione europea.
Temi prioritari. Lotta al terrorismo, difesa comune, cambiamenti climatici, governance dell’Eurozona, migrazioni, nuovi fondi per ricerca e innovazione, partnership commerciali, diritti dei cittadini, protezione delle minoranze, ruolo del dialogo interreligioso: le voci susseguitesi fra Bruxelles e Strasburgo hanno posto l’accento su numerosi argomenti, alcuni dei quali di competenza dell’Ue, altre di esclusiva o preminente competenza nazionale. Marteusz Morawiecki, premier polacco, nel luglio 2018 ha ricordato le “differenti crisi che l’Ue deve affrontare contemporaneamente”: economia, sicurezza, migrazioni, “la politica di aggressione della Russia”, le instabilità in Medio Oriente e Africa. Sfide che necessitano di un’Europa più forte, che però “non deve sottrarre poteri e competenze agli Stati”, un’Europa delle nazioni “secondo il modello di De Gaulle”. Di tutt’altro sapore le parole di Klaus Iohannis, presidente della Romania (ottobre 2018): “Occorre difendere la democrazia e non darla mai per scontata”. Il messaggio del presidente è di “rafforzare e garantire l’unità europea” (l’oratore ha escluso l’Europa “a più velocità”), “ma che sia una unità nel rispetto delle diversità”.
“Egoismi nazionali”. Attesissimo, nel novembre 2018, il dibattito con la cancelliera tedesca Angela Merkel: secondo la quale “comprensione reciproca, tolleranza, attenzione ai bisogni altrui”, sono gli elementi che delineano il profilo della solidarietà, principio alla base dell’integrazione europea. Merkel stigmatizza gli “egoismi nazionali”: “i nazionalismi non devono avere più possibilità di risorgere in Europa”.
I tre principali settori in cui occorre a suo avviso un’azione unitaria dei Paesi Ue sono: la difesa comune, il rafforzamento dell’Unione economica e monetaria e la risposta alle migrazioni.
Su quest’ultime emerge un mea culpa: “non ci siamo accorti, nel 2015, che si trattava di un problema europeo”, non solo di Italia o Grecia. Le migrazioni sono “un tema centrale che riguarda i rapporti con il nostro vicinato; dobbiamo trovare percorsi comuni e rinunciare a un pezzettino di sovranità nazionale per poter fare qualcosa insieme”. Di alto livello anche l’allocuzione del premier spagnolo Pedro Sanchez, svolta a gennaio 2019. “Dobbiamo proteggere l’Europa, così l’Europa – ha detto – potrà proteggere i suoi cittadini”. Sanchez intravvede la necessità di “quattro unioni”: politica, sociale, economico-monetaria e ambientale. Lo spagnolo ha in mente “una Unione basata sui diritti, che dia rifugio ai più vulnerabili, offra opportunità ai giovani e ai disoccupati, garantisca la sicurezza dei cittadini”, confermando “il proprio impegno contro i cambiamenti climatici”.
La posizione dell’Italia. Tutti d’accordo, poi, i leader dei Paesi membri intervenuti nel corso del dibattito sul futuro dell’Europa, rispetto all’errore compiuto dal Regno Unito con il Brexit. In sostanza, porte chiuse a una revisione dell’accordo: ormai è il tempo – per Londra – del prendere o lasciare. In questo contesto è atteso il discorso del presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte. Considerando che la sua posizione in sede europea parte con alcune scelte da chiarire e nodi da dirimere: a cominciare dalla manovra finanziaria, per passare al caso del mancato riconoscimento del presidente venezuelano Guaidò, fino alla questione dei migranti e al ventilato stop alla Tav.