Dalla Spagna un segnale all’Europa: “Sì, se puede”. Vittoria socialista, ultradestra alle Cortes
Il voto parlamentare aggiudica il primo posto ai socialisti, penalizza i popolari, assegna un buon risultato alla destra moderata di Ciudadanos. Gli antieuropeisti di Vox salgono al 10 per cento. Numerosi seggi alle formazioni regionali o indipendentiste. Non c'è una maggioranza per governare: e già si guarda alle europee del 26 maggio. Sanchez (Psoe) non ha dubbi: “Formeremo un governo pro Ue”
“Sì, se puede”. I sostenitori socialisti scandiscono lo slogan che evoca quello di Barack Obama: “Yes, we can”. Si possono vincere le elezioni, si può governare il Paese, si può essere europeisti e spagnoli allo stesso tempo. I risultati del voto parlamentare del 28 aprile premiano, in Spagna, la voglia di partecipare (75,7% l’affluenza alle urne, quasi dieci punti in più di tre anni fa) e il premier uscente Pedro Sanchez, leader del Partido socialista obrero español. Bocciato sonoramente il Partito popolare, i cui voti vengono risucchiati dai Ciudadanos e dalla destra estrema ed euroscettica di Vox. Che, a differenza di quanto titolano troppo generosamente diversi giornali, non sfonda, attestandosi attorno al 10%.
Numeri e seggi. Riepilogando, il Psoe si attesta, primo partito, al 28,7% dei voti: conquista 123 dei 350 seggi delle Cortes (+38 seggi rispetto al voto del 2016). Il Pp, pur risultando il secondo partito, si ferma al 16,7%, con 66 seggi (-71). La destra moderata di Ciudadanos è al 15,8%, con 57 seggi (+25). La sinistra di Podemos prende il 14,3% dei voti (42 seggi); Vox sale al 10,3% (24 deputati). Non vanno trascurati i 38 seggi aggiudicati ai partiti indipendentisti o regionali: i Catalani di Erc entrano in parlamento con 15 deputati, 7 vanno ai catalani di Jxcat, 6 al Partito nazionale basco, 4 ai baschi di Euskal, 2 alla Coalizione Canaria, 2 a Na+, uno a testa a Compromis e Prc.
Un parlamento piuttosto frastagliato, dunque, che non mostra, al momento una chiara maggioranza: non basta infatti sommare le sinistre di Psoe e di Podemos per raggiungere i 176 seggi per governare; ancora più lontana dalla maggioranza una coalizione di centrodestra, anche se si sommassero Pp, Ciudadanos e Vox. Potrebbero risultare ancora una volta necessari i voti dei piccoli e riottosi partiti localisti.
Tre priorità. Le prime parole del premier uscente Pedro Sanchez hanno guardato alla governabilità e all’Europa: “Il Partito socialista ha vinto le elezioni generali in Spagna e con queste ha vinto il futuro e ha perso il passato. Abbiamo mandato un messaggio all’Europa e al resto del mondo. Si possono battere l’autoritarismo e l’involuzione”. Quindi un auspicio: “Formeremo un governo pro europeo”. Dismessi i panni del leader di partito, deposti gli slogan della campagna elettorale, Sanchez deve ora dimostrare che governare si può, con almeno tre priorità che tengono desta l’attenzione dei suoi connazionali. La prima è l’economia: i dati finora sono positivi, il Pil cresce, la disoccupazione arretra, ma molto resta da fare per restituire agli spagnoli le certezze perse durante la lunga recessione. Secondo: il nodo dell’indipendentismo, che attraversa la Catalogna, la regione basca fino alle terre d’oltremare, e che porta alle Cortes un vento identitario, antinazionale con toni europeisti; un vero rebus. Terzo problema: le migrazioni, che sono in forte aumento dall’Africa del Nord; in Spagna però la questione migratoria non è diventata, come ad esempio accaduto in Italia, il centro della campagna elettorale e non sembra essere la prima delle preoccupazioni dei cittadini.
Geografie variabili. Si tratta ora di verificare se tra le forze politiche ci sarà la volontà di dare un governo al Paese prima delle elezioni europee: ma la partita è rischiosa perché – si sa – chi governa finisce nel mirino di tutte le altre forze politiche e in questo caso ne potrebbe approfittare soprattutto Vox. Non è escluso che vengano avviate trattative a “geografia variabile” tra Psoe, Pp, Ciudadanos e Podemos, con un occhio a catalani e baschi, riservandosi però ogni decisione governativa a dopo il 26 maggio, magari cercando di capitalizzare le posizioni emerse dal voto del 28 aprile.
La partita resta tutta aperta, dunque. Di certo la Spagna è sotto i riflettori europei: sia per l’affermazione socialista (caso raro oggi nel continente), sia per il vento pro-Ue che si respira fra gli iberici, quasi un contraltare del pasticciato antieuropeismo del britannico Brexit. La Spagna è un Paese che dimostra voglia di crescere, dove si respira aria nuova, pur tra spinte contrastanti: ai politici il compito di favorire pacificazione nazionale, sviluppo economico, lavoro e diritti sociali.