Calano gli arrivi, non le partenze dalla Libia
Cosa succede nel Mediterraneo? Un anno fa il ministro Salvini lanciava l’hastag porti chiusi. Ma in mare si ripetono i casi di imbarcazioni in difficoltà. I fatti smentiscono il pull factor e intanto muore 1 migrante su 6
ROMA - L’ultimo caso di ieri si è risolto nella notte con un soccorso operato dalla nave P61 delle forze armate maltesi: ma per tutto il giorno l’sos di un gommone in difficoltà, con a bordo 100 persone, è rimbalzato sui social. Alarm phone e Sea Watch, attraverso l’aereo di ricognizione Moonbird, hanno chiesto incessantemente, l’intervento di un dispositivo di soccorso finché una nave militare, che si trovava a poche miglia di distanza è intervenuta, portando le persone in salvo a Malta. Ma quello di ieri non è un caso isolato, nelle ultime settimane infatti, si sono ripetuti episodi di imbarcazioni in difficoltà, segnalate dalle ong, che hanno dovuto attendere ore ( e in alcuni casi una notte intera) prima di essere salvate in mare. Nonostante, infatti, il calo degli arrivi in Italia, e la riduzione drastica di navi civili di salvataggio, le partenze dalla Libia non si sono azzerate. Le persone continua a partire, spesso stipate in piccoli gommoni, in assenza di alternative sicure. Ma oggi il Mediterraneo centrale è la rotta più pericolosa per i migranti, come testimoniano i dati e gli allarmi delle organizzazioni internazionali.
I numeri degli arrivi, mai così bassi. Stando ai dati diffusi dal Viminale sono 2.144 le persone arrivate in Italia dal 1 gennaio al 10 giugno 2019, l’85 per cento in meno rispetto al 2018, il 96 per cento rispetto al 2017. Uno dei numeri più bassi degli ultimi anni e frutto di una serie di eventi correlati: innanzitutto la linea dura del governo giallo verde, che ha apertamente contrastato gli sbarchi, da un anno a questa parte. Era il 10 giugno 2018 quando con un tweet il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, dichiarava che i porti italiani erano chiusi alle navi delle ong, costringendo di fatto, dopo giorni di attesa con 629 persone a bordo, la Aquarius di Sos Mediterranèe ad andare in Spagna. Ma a ridurre gli arrivi in Italia ha contribuito anche l’attività della cosiddetta Guardia costiera libica, che dall’inizio dell’anno ha riportato indietro a Tripoli 2.747 persone (dati Unhcr aggiornati al 10 giugno) tra cui circa 270 bambini. Nei fatti, sono ad oggi di più le persone costrette a tornare nel paese da cui cercano di fuggire, e dove sono in corso violenti scontri, nonostante tutte le organizzazioni internazionali abbiamo ormai formalmente dichiarato che la Libia non può essere considerato un porto sicuro. Infine, da almeno due anni, si è intensificato l’impegno del nostro paese per bloccare i flussi nei paesi di origine e transito dei migranti. Come testimonia il report “Sicurezza e migrazione: tra interessi economici e violazione dei diritti fondamentali. Il caso di Niger Egitto e Libia”. Il documento analizza il capitolo italiano ed europeo dei fondi sulla sicurezza sia aumentato vorticosamente ed abbia sempre più interessato la gestione delle frontiere all’interno e all’esterno dello spazio europeo: impegnate nel controllo delle frontiere dalla Libia al Niger, con il rafforzamento del ruolo dell’Agenzia Frontex nelle operazioni di rimpatrio e di meccanismi di interoperabilità dei sistemi di identificazione. “A farne le spese sono i migranti - spiega Sara Prestianni di Arci nazionale, curatrice del rapporto - obbligati a rotte sempre più pericolose e lunghe, a beneficio di imprese nazionali, che del mercato della sicurezza hanno fatto un vero e proprio business, e di politici che sull’immaginario dell’invasione basano i loro successi elettorali”.
I pull factor smentito dai fatti: gli sbarchi fantasma e le partenze dalla Libia. Una serie di fattori che contribuiscono, nei fatti, a smentire il cosiddetto pull factor, cioè il fattore di attrazione che la presenza di navi di soccorso opererebbero come spinta alle partenze. Come spiega Matteo Villa, ricercatore di Ispi (Istituto per gli studi politici internazionali), tra il 1 maggio e il 7 giugno sono partite dalla Libia almeno 3.092 persone. 379 sono partite quando le ong erano al largo delle coste libiche, 2.713 invece, hanno preso il largo nonostante non ci fosse nessun assetto europeo (pubblicamente) in mare a fare ricerca e soccorso. Sulla stessa scia anche Carlotta Sami, portavoce di Unhcr, che in un tweet del 7 giungo scorso scrive: “700 persone alla deriva in 24 ore nel Mediterraneo. Non parliamo per decenza di pull factor. Nessuna ong può essere presente. E ancor peggio nessun sistema di soccorso. Stiamo perdendo vite umane e l’esperienza preziosa di anni di salvataggio che rendevano onore a chi li faceva”. Inoltre, le cronache registrano una serie di arrivi con micro imbarcazioni, non solo sulle coste della Sicilia, ma anche della Calabria e della Puglia. Sono i cosiddetti sbarchi fantasmi, così chiamati perché non intercettati dalle autorità marittime.
Muore una persona su 6: rotta del Mediterraneo sempre più pericolosa. Stando ai dati sono 543 le persone morte nel tentativo di raggiungere l’Europa, di queste 343 solo nel Mediterraneo centrale. “La percentuale di persone morte in mare è passata da 1 su 29 dell’anno scorso a 1 ogni 6 di quest’anno. Il problema è evidente:, non essendoci più dispositivi di ricerca e soccorso come negli anni passati, il rischio è altissimo e percentualmente, nonostante il calo degli arrivi, le vittime aumentano - spiega a Redattore Sociale, Federico Fossi, uno dei portavoce di Unhcr Italia -. Le ong erano arrivate a soccorrere il 40 per cento di persone in mare, avevano cioè un ruolo fondamentale. Oggi che dalla Libia si continua a partire, non ci sono più. Le persone fuggono da un paese che non è più quello di qualche anno fa, le persone sono bloccate nei centri di detenzione, nelle zone in cui imperversano i combattimenti, come la parte sud di Tripoli - aggiunge Fossi -. Altre persone riescono a volte a fuggire dai centri di detenzione ma poi sono abbandonate a loro stesse, senza la possibilità di tornare indietro. Altri sono bloccati tra i combattimenti: mai come adesso la traversata in mare rappresenta l’unica via di uscita. Quindi le persone partono ancora ma rischiando ancora di più. Per noi è fondamentale che vengano fatti tutti gli sforzi possibili per soccorrere le persone in mare e per evitare che vengono riportate indietro , perché già qualche mese fa abbiamo chiaramente detto che la Libia non è un porto sicuro”. In queste ultime settimane l’Unhcr ha operato diverse evacuazioni dai centri di detenzione libici. “Queste operazioni fanno parte del percorso di vie legali e sicure per far ottenere protezione ai rifugiati in Europa - aggiunge -. Operiamo in collaborazione con le autorità italiani e libiche, dal dicembre 2017 ci sono state 6 evacuazioni: le persone sono arrivate direttamente in Italia da Tripoli o passando per il nostro centro di transito in Niger, per un totale di quasi 1000 persone solo nel 2019”. In tutto, negli ultimi due anni sono 3.856 le persone evacuate dal paese. Mentre sono 1.223 i richiedenti asilo e rifugiati rilasciati dai centri di detenzione libici. “E’ importante che queste operazioni continuino, non solo verso l’Italia ma anche verso altri paesi europei. E’ un appello che rivolgiamo agli Stati - conclude il portavoce Unhcr -. Le vie legali sono importanti per le persone in pericolo, ma sappiamo bene che fintanto che la possibilità di mettersi in salvo in maniera sicura non sarà possibile le persone continueranno a cercare quella sicurezza, purtroppo come avvenuto in tutti questi anni, prendendo il mare, in una situazione sempre peggiore perché non c’è nessuno a soccorrerli. L’attraversamento è diventato pericolossissimo. La rotta del Mediterraneo è quella che ormai miete più vittime”.
Sea Watch, l’unica nave a fare attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo. In questo momento l’unica nave civile a fare ricerca e soccorso in mare è la Sea Watch 3 dell’ong tedesca Sea Watch, che opera anche attraverso i due aerei di ricognizione Moonbird e Colibrì. “Siamo ripartiti verso l’area Sar, in questo momento siamo l’unica nave civile in mare - sottolinea la portavoce Giorgia Linardi -. In questi ultimi giorni i nostri aerei hanno testimoniato numerose partenze: tra i 20 e i 30 i casi avvistati in soli 14 giorni. Molti di questi casi hanno dovuto attendere ore prima di essere soccorsi, o addirittura notti intere”. Il riferimento è ai due casi di distress del 23 e del 29 maggio scorso: “il primo ha visto l’intervento della Guardia costiera libica - spiega Linardi -, il gommone era in affondamento, in un video ripreso dal nostro elicottero si vede almeno una persone morire per annegamento. Nel secondo caso c’è stato l’intervento della Marina militare italiana dopo più di 24 ore dalla segnalazione. Allo sbarco le persone hanno riportato che alcuni compagni di viaggio sono stati dati per dispersi. La situazione è dunque gravissima, dimostra che le persone partono e si trovano in pericolo a prescindere dalla presenza delle navi delle ong”. Linardi sottolinea inoltre che nei casi in cui sono state coinvolte navi militari non è stata aperta nessuna indagine per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, “ci auguriamo che sia lo stesso per noi - dice - siamo stanchi di dover dimostrare che non facciamo niente di male, se ci sono delle violazione sono in capo alle autorità. Ci aspettiamo soccorsi nei prossimi giorni, chiederemo, come sempre il supporto delle autorità marittime, se questo non arriverà ci dirigeremo verso quello che secondo le valutazioni del comandante sarà ritenuto il porto sicuro più vicino seguendo la rotta meno vessatoria per le persone a bordo”.