Verso Cristo, immersi in lui. Liturgia è partecipazione
Ciò avviene con un’attenzione al tempo liturgico e all’assemblea, che va accompagnata nel celebrare
Se da un lato i riti vengono ritenuti necessari per i sacramenti e imprescindibili per la religione, dall’altro vengono ritenuti esteriori e formali. Tra questi due estremi si colloca il Concilio, definendo la liturgia azione sacra per eccellenza tra tutte le pratiche ecclesiali. Infatti, se è imprescindibile annunciare il Vangelo e praticare la carità, non possiamo non celebrare. La questione per noi oggi quindi si pone su come la celebrazione possa essere culmine e fonte della vita cristiana. Anche la liturgia è una azione e ogni azione, secondo le analisi neurologiche, lascia una traccia nell’uomo, nella sua mente e nelle sue emozioni. Grazie a questo dato di fatto si può affermare che i riti non si fermano alla superficialità dell’uomo: l’agire lascia una traccia nella percezione e nella corporeità dei presenti. Così appare chiaro il compito della liturgia: ciò che conta non è semplicemente “sapere qualcosa su Dio”, ma “sentire Dio” nella nostra percezione umana. Nelle nostre parrocchie tutti sanno la storia di Gesù, ma solo celebrando ci inseriamo in azioni che fanno sperimentare la sua presenza. Ogni azione e interazione permette una relazione: questo è ciò che gli uomini sperano e attendono dal rito, ovvero la relazionalità con Dio. Il problema non si risolve semplicemente spiegando le parti della messa, ma agendo con competenza, la quale nel caso delle azioni avviene con una formazione che prende corpo non solo nella consapevolezza, ma anche nella pratica assidua di buone liturgie equilibrate e vitali. Gli antropologi del Novecento hanno riconosciuto che le attività umane non sono tese alla semplice acquisizione di concetti, ma all’immersione in una esperienza e per questo motivo se i credenti vogliono mantenere la propria fede, devono rivolgersi verso Cristo, camminare con Cristo, ma soprattutto sentirsi immersi in Cristo: per, con e in Cristo si dice o si canta nella dossologia della messa. Questo è il grande risultato della teologia prima e dopo il Concilio: l’efficacia del rito non si limita a essere “causa” del sacramento, ma è anche azione efficace in quanto esperienza per l’uomo. La fiducia nel rito come causa del sacramento non può essere disgiunta dalla fiducia nelle azioni in quanto capaci di generare la mediazione tra l’umano e il divino. In tal senso ogni azione considerata come legame con Dio è il ponte che connette l’interiorità dell’uomo con ciò che lo supera. Se in passato la liturgia rientrava nel precetto di religione o nel presupposto per ottenere la consacrazione eucaristica (questioni corrette, eppure forse non esaustive per le attese spirituali di questa epoca) ora la liturgia pone l’accento sulla partecipazione. La partecipazione attiva non incoraggia a compiere molti piccoli atti individuali, ma a prendere parte dell’unico atto assembleare. La cura per l’azione rituale richiede perciò di tradurre e adattare la trama della forma rituale alle condizioni e le caratteristiche di ogni situazione concreta affinché l’azione sia sede della partecipazione. Da un lato questo avviene con una chiara attenzione al tempo liturgico poiché il mistero che celebriamo è sempre lo stesso, la morte e risurrezione del Signore, ma che si declina nel corso del tempo; e all’assemblea che in base alla sua identità effettiva può venire agevolata o frenata nell’accompagnamento al mistero di Cristo nelle forme celebrative del rito. Certamente nella liturgia è presente Cristo, ma anche le sue membra, che devono essere condotte a Cristo: non si può prescindere dalla condizione dell’assemblea per condurla al mistero. Questo pensiero è teso a costituire una teologia dell’azione non riducibile alla causa formale del sacramento, ma orientata all’esperienza spirituale nella forma rituale. Perciò l’arte di celebrare consiste nel tradurre l’azione, perché la forma del rito sia l’esperienza spirituale dei credenti. Questa è una competenza richiesta non solo a chi presiede, ma a tutti i battezzati che partecipano dell’unica azione rituale. Non è sufficiente limitarsi al minimo per la validità poiché la liturgia vive di eccedenze, ma non è opportuno neppure eccedere in esagerazioni imbarazzanti: la nobile semplicità del rito vive dell’equilibrio che ci sporge verso la comunione con il Signore. Una adeguata iniziazione riguardo ciò che compete alla liturgia e una buona formazione alla teologia dell’azione rituale potrebbero aiutare i credenti a riconoscere nella mediazione del rito l’intreccio tra le azioni dell’uomo e la presenza di Dio.