Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il battesimo ci invita all’unità
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani Nell’anno giubilare la Chiesa fa memoria del primo concilio ecumenico delle Chiese, che si svolse a Nicea 1700 anni fa. Questo anniversario è un invito a riflettere sulla presenza del battesimo nella storia come costante invito a percorrere la strada dell’unità

In quest’anno giubilare 2025, la Chiesa universale celebra anche un’altra fondamentale memoria, quella dei 1700 anni di Nicea, il primo concilio ecumenico delle Chiese, indetto nel 325 dall’imperatore Costantino, lo stesso che 12 anni prima aveva sancito la legittimità del culto cristiano nei territori posti sotto il dominio romano. La riunione dei circa 300 vescovi, provenienti da ogni parte dell’impero, principalmente orientali, ambiva a risolvere molte questioni pratiche, come la data della Pasqua o problemi di disciplina ecclesiastica, ma aveva al suo centro le controversie suscitate dalle tesi teologiche di Ario, presbitero di Alessandria d’Egitto, che sosteneva la subordinazione ontologica del Figlio rispetto al Padre, e dunque la sua divinità minore, la sua condizione di creatura, sublime, certo, ma non co-eterna al Dio Padre. Nicea rispondeva condannando Ario e sostenendo l’idea dell’omousia, l’uguaglianza di sostanza tra generante e generato, tra Padre e Figlio, solo concettualmente espressione della crescente prossimità al pensiero greco – l’uso del termine “sostanza” per parlare del divino era certamente una novità – ma di fatto segnava piuttosto una penetrazione del nocciolo teologico più radicalmente cristiano entro lo spazio linguistico della teologia e della filosofia antica tramite l’idea di immediata presenza del divino nell’umano in Gesù, un’idea che disarticolava un punto nodale di tutte le tesi emanazioniste e platonizzanti della mediazione angelica, le quali pensavano all’azione di Dio nel creato in termini di un esercizio di dynamis (potenza) senza una reale idea di compartecipazione del creatore alle sorti degli uomini.
La Chiesa a Nicea annunciava invece l’inaudito dell’omousia, della consustanzialità del Figlio e del Padre, di lì celebrando la diretta, immediata (vale a dire “non mediata”) manifestazione di Dio sulla terra nella persona del Figlio. Dio nel Figlio sceglieva di essere presente nel mondo nella forma dell’umanità, debole tra i deboli, capace di esperire tutti i tratti della condizione umana, fino a seguirla nella fossa, nell’esperienza estrema del morire, per poi liberarla – con la morte ha sconfitto la morte. Il Figlio unigenito, Dio da Dio, Dio vero da Dio vero, generato e non creato, per l’appunto, della stessa sostanza del Padre, scavalca le schiere degli angeli per giungere nel ventre di Maria. Una vera e propria shekinah, per dirlo con un’idea centrale della teologia dell’ebraismo antico, vale a dire una presenza tangibile di Dio nella Storia. Una presenza che manifesta la gloria di Dio nello svuotamento (kenosis) da ogni idea di potenza, rovesciando nella croce la logica di questo mondo. È facile che nell’odierna sensibilità culturale questo appuntamento con la storia della teologia cristiana dei primi secoli ponga questioni forse lontane e in molti casi poco comprensibili al linguaggio e all’esperienza quotidiana della fede e della partecipazione dei credenti alla vita ecclesiale. E purtuttavia, proprio in ragione dello scenario della nostra società, immiserito culturalmente, slabbrato da tentazioni identitarie xenofobe e neopagane, sedotto da promesse neo-gnostiche, da uno spiritualismo senza costrutto o da forme di sincretismo facile e poco profondo, la soluzione proposta a Nicea resta, insieme al concilio successivo di Costantinopoli (380), pur con tutti i problemi che lasciarono insoluti al loro termine, l’architrave irrinunciabile di una intera tradizione religiosa che giunge fino a noi e continua a provocarci. Un punto di arrivo per la fede maturata nei primi secoli sulla memoria del Risorto e di ripartenza per la successiva vicenda cristiana: la circolarità relazionale non gerarchica della Trinità, non solo dinamica della vita divina, ma vita divina intesa come dinamica relazionale che pone al centro creazione, cura e redenzione del creato. L’ambizione della Chiesa a risolvere questioni sublimi tramite il simbolo niceno-costantinopolitano, dando definizione di ciò che di per sé sfugge a qualunque definizione, ispirata in quanto sorretta dallo Spirito, ma imperfetta e incompiuta perché comunque declinata entro la storia e la carne degli uomini, resta uno struggente e in parte paradossale tentativo di dare una struttura di pensiero all’imperativo del Salvatore ai suoi discepoli di andare e battezzare le genti in ragione di quei nomi. Quella circolarità trinitaria – un Dio in tre persone con uguali dignità – cerca di dare un fondamento teologico coerente alla centralità e trascendenza del battesimo. Non sembra un caso che sulla formula di fede elaborata nel primo e nel secondo concilio – i due momenti che definirono il simbolo del Dio uno e trino recitato dalle Chiese – crescerà un convincimento centrale anche per la moderna sensibilità ecumenica da parte delle antiche Chiese d’oriente e d’occidente, relativo all’irripetibilità del battesimo segnato dalla fede trinitaria. È dentro quell’intuizione che esso, recepito anche fuori dalla comunità confessante, resta valido e non ripetibile, indipendentemente da chi lo abbia celebrato: una chiave di volta divina introdotta dalla Parola consustanziale generata eternamente dal Padre. La porta regale aperta dal Figlio increato col battesimo, trova dunque in Nicea quel cardine teologico che consente a noi oggi di pensare la presenza del battesimo nella storia come di un costante invito a percorrere la strada dell’unità tra i cristiani, nel riconoscimento della relazione d’amore che intercorre tra quei tre nomi.
23 gennaio, veglia ecumenica a Santa Giustina
«Credi tu questo?» è il versetto del Vangelo di Giovanni (11, 26) scelto come tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si tiene dal 18 al 25 gennaio. Le preghiere e le riflessioni sono dedicate all’anniversario del primo concilio ecumenico dei cristiani che si tenne a Nicea 1700 anni fa (per approfondire: unedi. chiesacattolica.it). In Diocesi di Padova, la veglia ecumenica – promossa dal Consiglio delle Chiese cristiane (ortodossa greca, ortodossa romena, evangelica luterana, evangelica metodista e cattolica) – si terrà giovedì 23 gennaio alle 21 nella cripta della basilica di Santa Giustina (partecipa il coro Shalom). Al santuario di San Leopoldo ogni giorno – come da tradizione – verrà celebrata l’eucaristia alle 18.30.
Vittorio Berti
Professore di Storia del Cristianesimo all’Università di Padova