Lì, sull’ambone, un’epifania del Verbo. Il gesto sul pulpito ligneo nella messa conclusiva del convegno di Verona sulla liturgia
Durante la messa conclusiva del convegno di Verona, i fedeli hanno conosciuto un movimento di elevazione: quando il diacono è salito, portando processionalmente l’Evangeliario, sul pulpito ligneo pieno di rose
Durante la celebrazione dell’Eucaristia con cui si è concluso il convegno di Verona, non solo i cuori, ma anche la testa, il collo, gli occhi della nostra più concreta fisicità hanno conosciuto un movimento di elevazione: quando il diacono è salito, portando processionalmente l’Evangeliario, sul pulpito ligneo pieno di rose. «Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion!» (Is 40,9), «Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunziatelo dalle terrazze» (Mt 10,27). La Scrittura stessa ci insegna come dev’essere letta. Il Concilio Vaticano II ha insistito in modo particolare sul valore della celebrazione della Parola di Dio in ogni azione liturgica, specie nella messa, dando origine al ripensamento del ruolo simbolico dell’ambone. Esso serve – come l’Evangeliario, di cui è monumentum – a far sì che venga generata una trasfigurazione rituale: non la lettura di un brano biblico, quanto un’epifania del Verbo. È lui, il Logos, il Risorto, l’Agnello “vincitore per vincere ancora”, infatti, l’attore principale di ogni Liturgia. L’ambone, segno del sepolcro spalancato da cui sgorga l’annuncio della salvezza, sta dentro un giardino-orto (Gv 19,41), il paradiso della creazione nuova, e per questo è coronato di fiori e illuminato dalla fiamma dei ceri. Andrebbe collocato nell’aula, ecclesialmente (non sul santuario-presbiterio, clericalmente), e la sua sede naturale sarebbe il meridione, perché la voce dell’angelo-diacono che dice la risurrezione scalda i nostri cuori come quelli di Cleopa e dell’amico sulla via di Emmaus. La lettura che da lì risuona diviene “evangelica-cristificata”, voce del Dominus che si rivela nell’Antico e nel Nuovo Testamento ed è chiave di interpretazione di ogni pagina della Rivelazione ebraico-cristiana, ma pure luce per i nostri occhi di creature. Mi sollevasti – confessava teneramente Agostino al Signore – perché vedessi che c’era qualcosa da vedere.