Laici nella Chiesa: ospiti o di casa? Perché la Chiesa fa fatica a delegare e coinvolgere

Perché la Chiesa fatica a delegare qualche ambito ai laici? A questa domanda, tanto urgente ora ma con “radici” nel Vaticano II, provano a rispondere padre Ugo Sartorio, don Leopoldo Voltan, don Lucio Nicoletto ed Elisa Sartori

Laici nella Chiesa: ospiti o di casa? Perché la Chiesa fa fatica a delegare e coinvolgere

Dietro le schermo di parole apparentemente tecniche o da iniziati – ministerialità e sinodalità, ad esempio – si nascondono le sfide esistenziali per la Chiesa di domani, e in parte già di oggi. E a volte serve la franchezza e la saggia ingenuità dei giovani per disarticolare schemi complessi in domande semplici – più o meno – a cui rispondere senza giri di parole «sì, sì; no, no», come invita a fare Gesù nel Vangelo di Matteo. Domande sul ruolo, sullo spazio e sulla corresponsabilità dei laici nella Chiesa. Il 12 ottobre scorso si è svolto online il primo incontro, di tre, del ciclo “Serve la Chiesa? I giovani interpellano, i teologi rispondono” a cura della Facoltà teologica del Triveneto. Gli esperti sono stati chiamati a rispondere a domande preparate da un’equipe di giovani di varie “provenienze”, come già avvenuto lo scorso anno, ma oggi nuovamente evocate per trovare risposte ancora più concrete e dirette: sì, sì; no, no.

I laici saranno coinvolti nelle decisioni?
A padre Ugo Sartorio, francescano conventuale, già direttore del Messaggero di sant’Antonio e docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica del Triveneto è stata posta questa domanda: come mai la Chiesa fatica tanto a delegare qualche ambito ai laici, a definire ruoli chiari e a fornire un’adeguata preparazione per affrontare il compito? «Nel Sinodo universale (in corso durante il mese di ottobre, ndr) – ha osservato padre Sartorio – sono emerse domande simili su come far crescere la comprensione sui ministeri battesimali e su come aprire alla sperimentazione, su come andare oltre al clericalismo e su come i laici possano assumere ruoli di responsabilità nella comunità». Di fronte al momento innegabile di crisi della Chiesa, e ai sogni e ai cammini di riforma, per padre Sartorio «la direzione è il senso missionario: la Chiesa, se obbedisce alla propria missione, diventa capace anche di riforma, che poi è il progetto proposto da papa Francesco in questi dieci anni». Padre Sartorio ha individuato tre modi per i laici – il 99 per cento del popolo di Dio – di stare dentro la Chiesa. C’è il modello della dipendenza e della supplenza, con il prete «super ministro che distribuisce gli incarichi e che rende gli altri ministeri delle comparse»; c’è il modello della delega, nel quale il laico viene delegato agli affari mondani, con una secca divisione tra gli ambiti, perché agisca «secondo le direttive della gerarchia»; e, infine, il modello della collaborazione allo stesso livello. «Oggi si preferisce la corresponsabilità, cioè la possibilità di decidere insieme ai laici in quanto investiti di carismi e doni dello Spirito. L’appello alla partecipazione non arriva alla fine del processo, per mettere sulle spalle degli altri idee che sono venute prima, ma nella missione estroversa della Chiesa, nei ministeri istituiti o esistenti di fatto». Gli organismi di partecipazione e di comunione, di fatto, non funzionano: «I laici non ci stanno, se vengono fatti funzionare secondo il criterio della delega o della supplenza. Non possiamo andare avanti pensando che il 99 per cento del popolo di Dio sia quell’immensa maggioranza che rimane inattiva: bisogna aprire le porte perché i laici possano dire ed essere protagonisti». Insomma, si domanda padre Sartorio, «passeremo dal consultivo al deliberativo? E come?». La missione della Chiesa – «manifestare più e pienamente il volto di Cristo» – presuppone ragioni più teologiche che di organizzazione ecclesiale per questo cambio di paradigma. I ministeri battesimali, allora, vanno oltre «il cliché del “prete incompiuto”» fermo alle questioni liturgiche, ma devono guardare a ciò che i laici fanno quotidianamente, perché «l’eucaristia stessa non ha senso se non apre alla missione». Insomma, se la realtà è superiore all’idea, «dobbiamo imparare ad accogliere la realtà per andare avanti nella sperimentazione, altrimenti ci perdiamo in disquisizioni». I ministeri laicali «non sono la continuità dei ministeri clericali – ha aggiunto padre Sartorio – Se così fosse, vogliamo dare seguito a un modello di Chiesa che è finito».

Discernimento comunitario da perfezionare
Il tema dei misteri battesimali è centrale anche nel cammino sinodale della Chiesa di Padova. Tra tutte le proposte prese in esame dall’Assemblea sinodale, la 17, in particolare – “Individuare e formare persone per i ministeri battesimali” – ha riscosso un grande consenso. «Oggi ci troviamo, a mio parere, con un buon percorso fatto e con un testo finale che traccia le linee per preparare i ministeri battesimali nelle nostre parrocchie – evidenzia don Leopoldo Voltan, vicario per la pastorale – Per ministeri battesimali intendiamo dei servizi pastorali di coordinamento e di promozione in ambiti decisivi per la vita della Chiesa e la sua missione. I ministeri vengono esercitati in equipe, in ambiti essenziali per la vita della Chiesa e la sua missione (l’annuncio, la liturgia, la carità, il coordinamento e la comunione, la gestione economica). Prevedono una responsabilità concreta e con un mandato preciso. Chi li esercita risponde a una chiamata vocazionale che richiede anche competenza e preparazione. La nostra Diocesi è ricca di tanti operatori pastorali, connotati da grande generosità e da senso ecclesiale. In questa storia, sicuramente, i ministeri battesimali rappresentano un ulteriore passaggio qualitativo». Queste ministerialità, per essere tali, sono animate dallo spirito missionario: «Da una parte l’edificazione della comunità cristiana, sentita a volte come dato riorganizzativo e strutturale, e dall’altra parte la spinta missionaria. Credo che queste dimensioni vadano tenute insieme: la Chiesa esiste per annunciare il Vangelo, in modo attrattivo e gratuito e l’annuncio del Vangelo si traduce anche nel costruire comunità, case accoglienti per tutti». Gli organismi di comunione, poi, per don Voltan «sono l’espressione più alta della sinodalità ordinaria che si esercita attraverso il discernimento comunitario. Non trovo riduttiva la consultività, perché la intendo così: nelle scelte importanti per una comunità non si può non ascoltare il consiglio autorevole degli organismi, consiglio pastorale e per la gestione economica. Forse va perfezionato il metodo del discernimento comunitario e questo permetterà di comprendere meglio il valore e la decisività degli organismi di comunione e di favorire anche un ripensamento dei processi decisionali».

«Tempi di crisi preparano tempi di grandi frutti»
Affrontare il tema delle ministerialità battesimali dal punto di vista di una Chiesa che vede diminuire il numero dei preti e, di conseguenza, le sue attività, non può non tenere conto della prospettiva delle terre di missione e di chi, come missionario, vi è impegnato. Osserva don Lucio Nicoletto, fidei donum padovano in Brasile e vicario generale della Diocesi amazzonica di Roraima: «La situazione in cui versa la Chiesa europea, così come la Chiesa di Padova, più che essere motivo di tristezza, dovrebbe essere motivo di speranza perché finalmente ci viene data la possibilità di svestirci di tanti atteggiamenti presuntuosi e di metterci in ascolto dello Spirito». La ministerialità che si vive in America Latina «è stata frutto di una Chiesa che si è sempre sentita povera di ministri ordinati – continua don Nicoletto – Lì, evidentemente, è stato più facile sia a causa dell’esperienza di fede del popolo di Dio, sia a causa dell’intuizione della Chiesa locale stessa». La scelta vincente è stata quella di dare spazio «a una creatività che non ha inventato cose nuove, ma ha fatto riscoprire forze non conosciute come “muscoli” che non erano mai stati usati e che sono stati messi in moto». In Europa, invece, «abbiamo sempre ritenuto che le forze che avevamo fossero sufficienti per portare avanti un modello di Chiesa che probabilmente, in molte dimensioni, si allontanava dalla logica del Vangelo, della sinodalità, della comunione, capace di riconoscere la dignità battesimale a tutte le persone che seguono il Signore ciascuno con la propria vocazione e missione specifica». Don Lucio Nicoletto cita poi la “battuta” che don Mario Morellato gli ha rivolto durante l’Assemblea sinodale di giugno scorso, a cui ha portato un saluto come fidei donum: «Caro amico, voi siete nati così, noi dovremmo diventarlo, con pazienza». «Credo che mi stesse rendendo partecipe della sofferenza che tutta la Chiesa d’Europa sente, per vari motivi, con la consapevolezza però di poter crescere con pazienza, determinazione e fiducia. Tempi di crisi e sofferenza, infatti, preparano sempre a tempi di grandi frutti e grandi sogni, perché purtroppo quando siamo troppo pieni di noi non riusciamo a scorgere a metterci in ascolto della voce dello Spirito. Si ascolta nella misura in cui si ha voglia di ascoltare».

La parola ai giovani. Chi di noi vive la Chiesa desidera rinnovarla

«La domanda al centro dell’appuntamento del 12 ottobre – racconta Elisa Sartori, giovane del gruppo che ha “interrogato” i teologi nell’ambito della proposta dal titolo “Serve la Chiesa?” – nasce dal fatto che si parla della carenza di sacerdoti e della carenza che si constata in termine di “offerta” delle parrocchie. Al tempo stesso, però, chi si propone di fare qualcosa si sente sempre in dovere di chiedere il permesso, di avere il via libera, e ci si sente quasi come dei tappabuchi. Inoltre, non viene fornita un’adeguata formazione allo svolgimento dei compiti, dal catechista all’animatore della liturgia». Le risposte di padre Sartorio, per Elisa Sartori, sono state soddisfacenti: «Ha spostato la questione dalla teoria di ciò che si vuole fare e di ciò che sentiamo dire sui ministeri battesimali, sulle deleghe e sui carismi alla loro applicazione concreta. Ha citato papa Francesco, sul fatto che bisogna tenere conto dei laici non solo in maniera quantitativa ma anche qualitativa, perché ciascuno possa far valere le proprie qualità e possa sentirsi non ospite, ma a casa sua all’interno della Chiesa». Per la giovane è centrale l’appello alla sperimentazione, contro la logica del “si è sempre fatto così”: «Ho l’impressione che i giovani che oggi credono e frequentano la Chiesa siano motivati da una spinta effettiva interiore. Non lo fanno solo per abitudine o per educazione. Chi continua a frequentare, anche se “non va più di moda”, ha un forte desiderio di rinnovare la Chiesa per restituirle lo spirito iniziale, non tanto quello di riportarla a un’autorità o a uno splendore che aveva in quanto istituzione secolare».

Concilio: da una Chiesa autorevole a una Chiesa serva

«Il Vaticano II ci fa passare da una Chiesa autorevole a una Chiesa serva, serva, ministeriale» scriveva dom Aloísio Lorscheider, cardinale brasiliano scomparso nel 2007. Lo cita con Lucio Nicoletto, missionario fidei donum in Brasile: «La transizione sognata dal Concilio sta avvenendo. La Chiesa, sempre con progressi e insuccessi, ha già fatto diversi passi in questa direzione, ma ha ancora molta strada da fare per essere nel mondo di oggi la Chiesa che Gesù ha voluto. La Chiesa in cui crediamo, e per la quale lottiamo, è la Chiesa-comunità di chi è alla sequela di Gesù: una Chiesa povera, per i poveri, con i poveri e dei poveri. Questa Chiesa è tutta serva e ministeriale».

La Difesa continua farsi domande sulla Chiesa oggi

Protagonismo dei laici nella Chiesa; linguaggi per comunicare il Vangelo oggi; fine dei cristianesimo o della cristianità?; omosessualità: quale equilibrio tra parole e gesti concreti?; importanza dei riti... Sono alcuni dei temi che la Difesa – come ha già fatto lo scorso anno pastorale – si propone di approfondire. Temi complessi di fronte ai quali non abbiamo come primo obiettivo quello di trovare risposte, ma di suscitare domande, avviare riflessioni e stimolare il desiderio di approfondire. Per ogni tema “metteremo insieme” varie voci per poterlo scandagliare il più possibile. L’anno scorso, presentando queste pagine, parlavamo di «inchieste senza sconti e oneste, ma sempre con uno sguardo di speranza». Confermiamo questo sguardo. Se, leggendoci, avrete voglia di dire la vostra, fatelo senza timore: ogni settimana c’è lo spazio per la voce dei lettori. Se poi avete un tema da suggerire, scriveteci a redazione@difesapopolo.it

Andrea Canton

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