La ferita rimarginata. La visita della diocesi di Padova sulla tomba di Luigi Pellizzo
Luigi Pellizzo. A cento anni dall’allontanamento del vescovo friulano, il pellegrinaggio sulla sua tomba. Un gesto di riconciliazione con un’oscura pagina della sua storia
La Diocesi di Padova si è finalmente riconciliata con una delle pagine più dolorose e complesse del suo passato e lo ha fatto con un viaggio-pellegrinaggio a Faedis, piccolo centro in provincia di Udine dov’era nato nel 1860 mons. Luigi Pellizzo, vescovo di Padova dal 1907 al 1923. Giovedì 23 marzo, a cento anni dal suo allontanamento improvviso e torbido nelle modalità e nelle motivazioni dalla città e dalla Diocesi, il vescovo Claudio Cipolla ha guidato un gruppo ampio e variegato, composto da una sessantina di presbiteri e dalle rappresentanze di alcune delle numerose opere fondate per volontà dello stesso Pellizzo: alcune classi con docenti e genitori dell’Istituto Barbarigo, lo storico direttore della Casa del Fanciullo don Orlando Galiazzo, una rappresentanza della redazione e dell’ufficio diffusione del nostro giornale, fondato dal vescovo friulano appena pochi mesi dopo il suo effettivo ingresso a Padova. Non hanno voluto mancare all’appuntamento nemmeno mons. Andrea Bruno Mazzoccato, arcivescovo di Udine, i missionari Comboniani (chiamati dal Pellizzo a Thiene nel 1919 e a Padova nel 1921) e alcuni membri della famiglia Pellizzo, in particolare i pronipoti del vescovo. «Siamo qui per chiedere scusa» ha detto mons. Cipolla durante l’omelia della messa celebrata nella chiesa parrocchiale al centro della quale, per sua volontà, il Pellizzo è sepolto. Il vescovo Claudio ha spiegato che ha lungo ha riflettuto sulla vicenda che ha visto nascere tra i professori del Seminario una fronda contro l’allora vescovo in seguito ad alcune sue decisioni proprio sull’istituzione legata al Barbarigo. Da lì il fronte si è allargato alla curia e, attraverso una serie di maldicenze, ha convinto papa Pio XI a rimuovere il pastore.
In questi anni mons. Cipolla ha anche pensato di chiedere la traslazione del corpo a Padova per riabilitare l’immagine di un vescovo il cui magistero è stato ricco e profetico, anche se condotto con piglio imperioso e decisionista. Tuttavia il testamento di mons. Pellizzo non ammette dubbi: dopo il più classico dei promoveatur ut amoveatur e i successivi anni romani, la sua volontà è stata quella di tornare per sempre all’amato borgo natìo. «Questa vicenda ci ricorda che nel nostro vissuto c’è una ferita che in qualche modo va rimarginata – ha detto ancora il vescovo Claudio – Siamo un unico corpo ecclesiale e spirituale, per questo, anche se nessuno di noi è direttamente responsabile per quanto è accaduto, ha percepito il peccato e ha deciso di venire qui insieme. È importante riconoscere e dare un nome al peccato e nella nostra Chiesa alcuni sono conosciuti, altri no. Ma accanto alle ferite ci sono anche i testimoni del bene che abbiamo compiuto e se tirassimo le somme l’ago della bilancia penderebbe di certo dalla parte del bene. Se riusciremo a eliminare qualche cicatrice, il volto della nostra Chiesa potrà presentarsi in modo più credibile». In precedenza, in una sala messa a disposizione dal Comune, la prof.ssa Liliana Billanovich, storica dell’Università di Padova e autrice del volume Luigi Pellizzo, vescovo di Padova (1907-1923) pubblicato nel 2014, ha tenuto una prolusione dettagliata sulla vicenda, senza fare sconti ai protagonisti dell’epoca e mettendo in luce un sistema di Chiesa – quella di Pio X – che in virtù della lotta contro il modernismo incentivava il controllo e la delazione al suo stesso interno (vedi servizio nel numero di domenica 26 marzo). A conclusione del pellegrinaggio, la preghiera del vespro assieme ai frati Cappuccini al santuario di Castelmonte.