L’amore di Dio, l’amore a Dio. Don Gianandrea Di Donna racconta il convegno ecclesiale di Verona sulla liturgia
Il pendaglio indossato dai delegati dice con più verità l’intenzione del ritrovarsi a Verona
Il pendaglio indossato dai delegati del convegno ecclesiale di Verona riportava la stilizzazione di un pesce disegnato su pietra lavica di Sicilia, quasi alludendo al fatto che, come il fuoco rende la pietra più dura una lava incandescente, così Cristo fa di noi, nutriti di lui con l’Eucaristia, un solo corpo ardente della sua forza. Il pesce veniva frequentemente raffigurato nelle catacombe di Roma, perché il termine greco con cui lo si designa, “Ichthys”, può valere da acrostico di Iesous Christos Theou Yios Soter (letteralmente: Gesù Cristo, di Dio Figlio, Salvatore). Tale immagine fungeva presumibilmente da segno di riconoscimento, noto fra i cristiani ma non ai loro persecutori. Il rapporto del pesce con Cristo, grazie anche al ricordo della moltiplicazione dei pani e dei pesci che si può ammirare nell’antico mosaico di Heptapegon, sul Lago di Tiberiade, ha fatto sì che esso divenisse poi un riferimento all’Eucaristia. Il pesce appare infine nell’iconografia del vescovo Zeno di Verona, chiara allusione, oltre che alla sua pratica di procurarsi da sé il cibo dalle acque dell’Adige, al ministero di pescatore di uomini. L’attenzione a questo piccolo dettaglio, che poteva tranquillamente limitarsi a essere il solito cartellino di plastica da convention, è forse il simbolo che dice con più verità l’intenzione del ritrovarsi a Verona: scoprire e manifestare, in ogni circostanza e occasione – con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente – l’amore di Dio, l’amore a Dio.
don Gianandrea Di Donna