Il servizio civile con Caritas a Sarajevo tra i migranti della rotta balcanica. La dignità non si tocca

A Sarajevo Edoardo Nasini, che a Padova ha lavorato a lungo tra le persone senza dimora, svolge il servizio civile tra i migranti della rotta balcanica

Il servizio civile con Caritas a Sarajevo tra i migranti della rotta balcanica. La dignità non si tocca

Da Padova alla rotta balcanica. Ha 29 anni Edoardo Nasini. Arriva da Ancona, ma ha lavorato a lungo a Padova tra le persone senza dimora, molte delle quali provenienti da storie di migrazioni. A fianco della rotta mediterranea, ben più raccontata dai media italiani, la rotta balcanica è una delle principali vie d’ingresso all’immigrazione in Europa. Per lo più a piedi, per lo più giovani o giovanissimi, anche famiglie con bambini piccoli, da circa dieci anni arrivano dai Paesi del Medio Oriente funestato dalla guerra – prima la Siria soprattutto, oggi Afghanistan – ma anche da altre parti dell’Asia (Pakistan, India) e dal nord Africa. Dallo scorso giugno Edoardo Nasini si trova a Sarajevo nella cornice del Servizio civile universale presso Caritas italiana. Con lui ci sono un’altra ragazza, sempre con il Servizio civile universale, e altri due ragazzi dei Corpi civili di pace. Il suo lavoro si svolge all’interno dell’organizzazione locale del centro per la pastorale giovanile “Giovanni Paolo II” di Sarajevo, per il dialogo interreligioso e interetnico, che ha delle sale multifunzionali, dei social corner, all’interno di alcuni campi di accoglienza dei migranti presenti nella città: il campo di Ušivak, dove vengono accolte famiglie, donne e bambini per ottocento posti letto e quello di Blažuj, dove si trovano gli uomini soli per 1.700 posti letto. Questi campi non sono la meta di nessuno: chi arriva lo fa per riposare, pochi giorni o settimane, nel mezzo di una strada che lo porterà poi a nord della Bosnia-Erzegovina per tentare di passare il confine con la Croazia ed entrare in Unione Europea.

«I social corner – racconta Edoardo Nasini al telefono – sono uno spazio dove possiamo incontrare i migranti, aiutarli nel rispetto della loro dignità umana con gesti semplici, come offrire una tazza di tè o di caffè, creando una relazione con loro in modo che condividano con noi, solo se lo vogliono, le loro storie e il loro vissuto». In questi campi di accoglienza a Sarajevo in cui la popolazione cambia di continuo, Nasini e i suoi colleghi organizzano attività pratiche, corsi di lingue, ma soprattutto «cerchiamo di rendere la loro permanenza in Bosnia, per quanto breve, sicuramente meno pesante, date le difficili condizioni in cui si trovano». La durata breve della sosta nel cammino – ancor più breve in estate, quando le condizioni meteorologiche favoriscono il viaggio – e soprattutto le difficoltà linguistiche rendono questo compito sicuramente più difficile, ma non per questo meno necessario. E nonostante l’impegno di chi si prodiga per vedere le persone dietro i numeri dei fenomeni geopolitici, le asperità di chi si trova ad affrontare la rotta balcanica rimangono notevoli.

Si toccano con mano storie di vite respinte

«Questa esperienza mi ha portato a crescere – racconta Edoardo Nasini, che svolge il Servizio civile universale per Caritas italiana a Sarajevo tra i migranti della rotta balcanica – Dietro ogni persona incontrata c’è una vita, una storia, una vita respinta. Le ferite di chi cammina per settimane… Un conto sono le foto, un conto è vederle di persona».

Andrea Canton

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