Il ruolo dei laici nella Chiesa di domani. Ne parla don Livio Tonello
Il Sinodo diocesano di Padova si sta concentrando sui ministeri battesimali come leva di cambiamento. Don Livio Tonello spiega queste figure
Una priorità emersa durante i lavori del Sinodo diocesano è stato il tema dei ministeri battesimali. La proposta 17 dello Strumento di lavoro 2 dal titolo “Individuare e formare persone ai ministeri battesimali” è stata evidenziata da 24 gruppi di lavoro su 26, con anche molte preferenze personali. Questo ha portato la presidenza del Sinodo a indicare la proposta come l’urgenza su cui lavorare nelle prossime sessioni, da cui potranno scaturire in seguito altre priorità. «Un tema molto sentito – afferma don Livio Tonello, direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose di Padova e docente di teologia pastorale alla Facoltà teologica del Triveneto – che è diventato quasi uno slogan, un tema risolutivo, ma a conti fatti ha creato molte domande, perplessità e questioni e quindi risulta ancora difficile approdare a una realizzazione concreta delle figure ministeriali, cioè di quali ministeri la Chiesa di Padova ha effettivamente bisogno. Nella nostra Diocesi il cammino per istituire queste figure è ancora lungo, non è così semplice e immediato». È fondamentale chiarire il significato dell’espressione “ministeri battesimali”: il primo termine indica un servizio importante che viene esercitato nella Chiesa, ma non tutti i servizi sono ministeri in senso proprio. «È un servizio essenziale – chiarisce don Tonello – con una certa durata e che riguarda un certo ambito della missione della Chiesa, anche esterno, come quello civile o sanitario, e viene riconosciuto dall’autorità ecclesiastica con un mandato. Si dicono battesimali perché hanno il loro fondamento nel battesimo e negli altri sacramenti dell’iniziazione cristiana, che abilitano il credente a collaborare con la missione della Chiesa nell’ambiente in cui si trova, con senso di responsabilità nei confronti della propria comunità cristiana. Normalmente però la maggior parte dei servizi sono su base volontaria e non c’è un riconoscimento o un mandato vero e proprio, ma la disponibilità da parte della persona e l’accettazione del parroco». Fra i ministeri ci sono quelli ordinati (episcopato, presbiterato, diaconato) che, oltre ad avere come base prima il battesimo e gli altri sacramenti, hanno il loro fondamento nell’ordine, un’ulteriore qualificazione sacramentale, perché legati a un servizio che richiede particolari caratteristiche. «In quelli battesimali – continua il direttore dell’Issr – distinguiamo gli istituiti a livello di Chiesa universale (accolitato, lettorato e del catechista) aperti a tutti i battezzati, affidati dal vescovo mediante un rito liturgico di istituzione – sui quali la Conferenza episcopale italiana l’anno scorso ha redatto un documento dove ne specifica anche i compiti – e poi quelli attualmente detti “di fatto”, più occasionali e spontanei che si caratterizzano per una minore stabilità, ma che potrebbero diventare riconosciuti. Un vescovo può riconoscere dei servizi per la pastorale legata alla parrocchia oppure al mondo del lavoro, salute, economia con un mandato a tempo ufficialmente dato a persone formate».
Una leadership condivisa
Esperienze di ministeri battesimali intesi come servizi che possono essere affidati ai battezzati laici con un riconoscimento e un mandato da parte del vescovo anche senza essere istituiti, in Italia ce ne sono già: nella Diocesi di Bolzano e Bressanone, a Milano, nella vicina Diocesi di Vicenza e a Padova è in sperimentazione nella parrocchia di Sant’Urbano. In questo riassetto, viene a sfumare la figura del parroco? «La guida della parrocchia è del parroco in senso canonico del termine ma la sua leadership è condivisa e partecipata ad altri, non gestisce da solo la parrocchia ma con la collaborazione istituzionale di altre figure singole o in equipe. In generale in Italia, e soprattutto nel Nord, stiamo andando verso questa forma di gestione della comunità. Il Sud non ha ancora bisogno di questo perché il clero è sufficiente per coprire la guida delle parrocchie. Ma la novità è che queste figure non devono essere viste a supplire o sostituire quei servizi che il parroco non riesce più a mettere in atto, ma sono espressione della corresponsabilità dei battezzati di una comunità cristiana nel collaborare alla missione e a ciò che quella comunità è chiamata ad essere e a fare. Non devono sostituire il parroco in un determinato servizio o funzione e quindi assorbire quel servizio per cui sono stati istituiti, ma diventare come un volano per suscitare nella comunità altre collaborazioni, per organizzare il servizio di altri, per sollecitare e promuovere i carismi».
I rischi non mancano
Se uno dei punti forti dell’istituzione di questi gruppi ministeriali o team pastorali è sicuramente creare maggiore senso di comunità, fra i rischi vi è quello che la persona sostituisca o dia l’impressione di sostituire il presbitero. «Non solo, fra i punti deboli aggiungerei anche il rischio che si insedino in quel ruolo escludendo gli altri, per questo uno dei correttivi è la durata limitata tramite mandato. Oppure un altro limite è che imitino il presbitero con rischio di clericalizzazione, invece devono esercitare quell’incarico ricordandosi di essere dei laici con un loro modo di vivere il servizio secondo i doni ricevuti dallo Spirito Santo». Due temi ruotano attorno ai ministeri battesimali: la formazione e il volontariato. «I requisiti richiesti, quindi la formazione della persona, sono relativi alla vita di comunità, partecipazione attiva, sensibilità ecclesiale, propensione alla comunione e al lavoro insieme, però è necessaria anche una formazione più specifica rispetto al servizio che sono chiamati a svolgere. Nei percorsi formativi previ è richiesta una formazione teologica o ecclesiale di base che riguarda la realtà ecclesiale nel suo insieme, cosa significa essere Chiesa, che cos’è una comunità, qual è la missione per una parrocchia e poi una preparazione specifica per l’ambito che si va a seguire. Alla formazione iniziale è necessaria anche una permanente»
Volontari o retribuiti?
Per quanto riguarda invece il volontariato, è ragionevole fare una riflessione su una eventuale retribuzione? «I ministeri battesimali richiedono un impegno di tempo ed energia abbastanza consistente ma al momento non si parla di retribuzione, o meglio le Diocesi faticano a entrare in questa logica come succede invece in altre esperienze, in Germania, Francia o Svizzera. Questo perché la tradizione italiana è sempre stata legata a volontariato e gratuità e perché le risorse economiche sono limitate. In Germania, ad esempio, la Chiesa riceve l’8 per cento dei contribuenti. A frenare poi c’è il problema morale di dover lasciare a casa una persona a fine mandato, anche se esistono già incarichi pastorali retribuiti all’interno soprattutto della curia negli uffici pastorali. Nulla toglie che nel tempo possano sorgere figure un minimo retribuite soprattutto se ragioniamo in ottica non di parrocchia ma di unità o zona pastorale o vicariale dove una persona può svolgere un servizio per più parrocchie, ad esempio a livello amministrativo. Ma siamo ancora lontani e refrattari su questi discorsi».
Il cammino riparte il 16 settembre
La chiesa del Seminario di Padova, trasformata in aula sinodale, è pronta a riempirsi dopo la pausa estiva. L’Assemblea sinodale ha in programma altre tre sessioni di due incontri ciascuna da qui alla fine del Sinodo prevista per Natale. La quarta sessione si terrà il 16 settembre e il 1° ottobre, la quinta il 13 e il 29 ottobre e l’ultima l’11 e il 26 novembre. Sessione finale con votazione del testo prevista per domenica 17 dicembre.