«Il Signore sia con voi»: quale gioia! Il Risorto rende presente Dio agli uomini
Il Risorto rende presente Dio agli uomini lì dove sono e s’interrogano sulle ragioni della loro delusione – come i discepoli di Emmaus – e sui motivi della loro speranza. Nella messa siamo certi d’incontrare realmente il Risorto, come accadde agli apostoli la sera di Pasqua e otto giorni dopo. Tutta la celebrazione e il rito stesso sottolineano la sua presenza
«Il Signore sia con voi». A questo saluto come battezzati proviamo gioia: nella messa siamo certi d’incontrare realmente il Risorto, come accadde agli apostoli la sera di Pasqua e otto giorni dopo. Tutta la celebrazione e il rito stesso sottolineano la sua presenza cosicché quel «Dominus vobiscum», rivolto dal sacerdote all’assemblea, ritornerà prima del Vangelo per proclamare che Gesù sta per parlare a noi discepoli; ritornerà nel dialogo che precede il prefazio
e la preghiera eucaristica perché, per le parole di Cristo e per l’invocazione dello Spirito Santo, il pane e il vino diventano il suo corpo e il suo sangue; ritornerà al termine della celebrazione prima del congedo, perché ci disponiamo a ricevere la benedizione del Signore, invitati a portare la sua presenza nel mondo. Oggi, in un mondo sempre più laicizzato immerso in enormi problemi ecologici, etici, politici ed economici, in un mondo dove le diverse culture s’incontrano e si scontrano, sembra che molti cristiani abbiano perso il senso della gioia dell’Eucaristia. A partire dal racconto dell’apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), proviamo a declinare il rapporto che intercorre tra Eucaristia e gioia: cosa comporta credere in colui che è sparito dalla nostra vista? Quale gioia e speranza nascono dall’eucaristia? Secondo Luca, nel numero dei primi testimoni della risurrezione ci sono anche i due di Emmaus, la loro vicenda è una sorta di cerniera tra i fatti del mattino di Pasqua e l’Ascensione. Con tutta probabilità facevano parte di un gruppo di discepoli di Gesù ed è probabile che fossero andati a Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua: si sono così trovati a partecipare agli avvenimenti della morte di Gesù e sono stati resi partecipi dell’annuncio della risurrezione da parte delle donne recatesi al sepolcro. Erano però scoraggiati: colui che poteva accendere in loro la speranza e la gioia verso il futuro, li aveva delusi. Essi stessi comunicano al pellegrino che li ascolta il loro stato d’animo, neanche l’annuncio e i segni della risurrezione sono stati convincenti, anzi sono sembrati loro «un delirio» (v. 11). Qui sta un punto decisivo: una testimonianza, da sola, non può convincere, neppure se autenticata dal conforto delle prove. Il problema di fondo di ogni generazione cristiana è sempre lo stesso: credere senza aver visto. Senza l’esperienza personale del Risorto che si fa presente e si rende riconoscibile e sperimentabile, la fede è preclusa e con essa, la gioia e la speranza. È il problema dei cristiani di tutti i tempi che non risparmiò neppure gli undici discepoli: se il discepolo non vive il dono dell’apparizione del Risorto, non può «riconoscere».
La Scrittura e la frazione del pane rappresentano le strade privilegiate per rendere attuale l’esperienza del Risorto.
Mentre l’itinerario dei due di Emmaus procede in modo inverso. Tutto ha inizio da un incontro: il Risorto si fa presente,
sia pure in modo velato, e i discepoli intraprendono un graduale itinerario interiore di svelamento. Per questo i cristiani di ogni generazione possono restare saldi, non temere e gioire: il Risorto è compagno di strada, prende l’iniziativa di avvicinarsi e fare la strada con loro. La “vitalità” del Risorto sta nel rendere presente Dio agli uomini lì dove essi sono, lì dove essi discutono tra loro e s’interrogano sulle ragioni della loro delusione e sui motivi della loro speranza e della loro gioia. L’esistenza, fatta di delusioni e speranze, è il primo e unico luogo della fede, la sua unica vera condizione, perché solo in essa può avvenire l’incontro con la vitalità di Dio. Perché la forza della risurrezione si può sperimentare solo all’interno della vita stessa, come risposta di Dio a ogni evento di morte. Nella nostra Diocesi siamo testimoni di come ancora la fantasia di Dio accende la luce della fede in persone adulte provenienti da ogni parte dell’Italia e del mondo, chiedendo alla nostra Chiesa di diventare cristiani. Ascoltando le loro storie, l’initium fidei nasce proprio dentro relazioni: un marito o una moglie già battezzati, un amico o un collega di lavoro, un testimone significativo. Decisiva per molti è qualche esperienza di volontariato, l’incontro con la sofferenza, il contatto con la comunità cristiana in cui si respira una evangelica accoglienza. Senza la conoscenza e la comprensione delle Scritture la fede pasquale non può trovare il suo fondamento: è necessario rintracciare questo annuncio profetico in tutte le Scritture, rispettando la logica teologica del loro ordine canonico, dalla Legge di Mosè ai profeti, ai Salmi. Nel riferimento sistematico alle Scritture la fede nella risurrezione trova il suo significato autentico di rivelazione di Dio: Gesù, dopo la sua morte, è intronizzato come il Messia di Dio. Senza le Scritture, la predicazione apostolica che appella alla fede nella risurrezione è costretta a prendere in prestito i suoi significati da altri sistemi ideologici o religiosi. Ma la predicazione scritturistica non può essere considerata come fine a se stessa: deve trovare il suo esito nella celebrazione liturgica. L’aiuto delle Scritture rappresenta un passaggio obbligato, ma non il punto di arrivo che sta nella celebrazione sacramentale della frazione del pane. I primi cristiani ricevevano l’istruzione scritturale, mai sganciata dalla celebrazione sacramentale, perché nella ripetizione sacramentale del gesto simbolico di Gesù nell’ultima cena il Risorto diviene riconoscibile. Nello stesso tempo nella celebrazione della fractio panis le prime comunità intravvedono il segno del banchetto escatologico preparato da Dio per tutti i popoli, così la loro preghiera culminava nell’invocazione: «Vieni, o Signore» (1Cor 16,21). La gioia dei cristiani nasce dalla speranza nel ritorno glorioso di colui che, asceso al cielo, siede ormai alla destra del Padre. Allora l’atto liturgico è un vivere con il Risorto nell’attesa che si compia in modo definitivo quello che ora non è ancora totalmente nostro ma lo stiamo vivendo e pregustando. Gesù sparisce dalla vista dei due discepoli. Oltre il sacramento, oltre il segno, non ci può essere null’altro se non un cammino pieno di gioia. L’incontro con il Risorto, che avviene nella delusione e nella frustrazione, richiama a poggiare i piedi sugli unici fondamenti della fede: la conoscenza della storia di Gesù, l’intelligenza di tutte le Scritture, la frazione del pane, l’assemblea ecclesiale.
Rete mondiale di preghiera del papa: maggio
Intenzione di preghiera del papa
Preghiamo perché i movimenti e i gruppi ecclesiali riscoprano ogni giorno la loro missione evangelizzatrice, mettendo i propri carismi al servizio delle necessità del mondo.
Intenzione dei vescovi
Preghiamo per tutti quei ragazzi che sono vittime del bullismo e ogni giorno vivono nell’angoscia, nella paura e nell’insicurezza: perché trovino il coraggio di rompere il silenzio e possano confidare nell’aiuto di amici e maestri sinceri.
Ogni primo venerdì del mese al Corpus Domini
Appuntamento alle ore 18.30 con l’adorazione eucaristica animata dalla Rete mondiale di preghiera del papa per la Diocesi di Padova. L’intenzione del mese di maggio è per i movimenti e i gruppi ecclesiali.