Gesù, incontro da annunciare. La Dimensione vocazionale del catechista

Dimensione vocazionale del catechista Dovendo comunicare non solo verità dottrinali, ma soprattutto la bellezza della relazione che il Signore offre e propone, è necessario sia stato raggiunto da questa relazione e si senta chiamato a viverla e a trasmetterla

Gesù, incontro da annunciare. La Dimensione vocazionale del catechista

Una delle persone che ricordo con più affetto e gratitudine è la mia catechista delle elementari, a fine anni Cinquanta. Si chiamava Iole e faceva la catechista come lo facevano tutti a quel tempo. Usava cioè il catechismo di san Pio X, che consisteva fondamentalmente nel trasmettere la “dottrina cristiana”. Non per niente noi non dicevamo: «Vado al catechismo», bensì: «Vado alla dottrina». Eppure la mia catechista Iole, pur con un metodo che oggi nessuno più adotterebbe, è riuscita a trasmettermi il cuore della fede cristiana e cioè a farmi intuire che il centro di tutto era una relazione buona con il Signore. Ricordo che un giorno, spiegandoci che il Signore era uno che si faceva vicino a noi e ci voleva bene, ci disse: «Io sono sicura che il Signore sta rivolgendo la sua voce a qualcuno di voi chiamandolo a diventare sacerdote!». Non è che ci avessi pensato molto fino ad allora, eppure questa frase detta con molta convinzione, guardandoci negli occhi, da una persona che tutti conoscevamo come buona e generosa, mi colpì molto profondamente e credo sia stata uno degli elementi decisivi nel mettere in moto il mio cammino vocazionale. Non voglio intendere con questo che – nel far catechismo – il metodo sia completamente indifferente. Assolutamente no. Voglio dire che la cosa più essenziale nel servizio catechistico è quella di riuscire a trasmettere, con le parole e insieme con la vita, il centro di tutto: che la fede cristiana è fondamentalmente una relazione personale con il Signore e che vivere questa relazione è una cosa bella, che dà gioia e pienezza alla vita. Se ci pensiamo è sostanzialmente ciò che intende dire papa Francesco quando afferma che sulla bocca del catechista deve sempre risuonare il primo annuncio: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti».

Ovviamente in questi ultimi decenni il modo di svolgere il servizio catechistico è profondamente cambiato ed è in continua fase di aggiornamento proprio per tener conto, adeguatamente, della situazione degli interlocutori, siano essi bambini, ragazzi, giovani o adulti. Ma se volessimo sintetizzare il cuore del servizio di un catechista dovremmo dire che si tratta fondamentalmente del servizio di una persona che si è appassionata per Gesù, per il suo Vangelo e per la sua Chiesa. Proprio questa “passione” spinge una persona a dedicare tempo, energie e affetto per far sì che anche altri fratelli, a cominciare dai bambini, possano incontrare, conoscere e amare il Signore Gesù e vivere come lui ci propone. Questo cuore incandescente dell’esperienza di un catechista esigerà ovviamente di essere arricchito da conoscenze, competenze e metodologie che si rivelano assolutamente necessarie, ma rimane tuttavia il centro propulsore di tutto il servizio. In questo senso è perfettamente plausibile parlare di “dimensione vocazionale” – come fa il papa – dell’esperienza del catechista. Dovendo comunicare e trasmettere non soltanto delle verità dottrinali, ma soprattutto l’importanza e la bellezza della relazione che il Signore ci offre e ci propone, appare del tutto necessario che i catechisti stessi siano stati raggiunti da questa relazione e, di conseguenza, si sentano chiamati a viverla e a trasmetterla agli altri, parlandone e testimoniandola. Uno dei segni che maggiormente evidenzia la presenza di questa dimensione nell’esperienza dei catechisti/e l’ho sempre visto nella gratuità con cui svolgono il loro servizio: sono tra le pochissime persone, anche nella Chiesa, che offrono il loro servizio in modo completamente gratuito. Alla gratuità economica aggiungerei, in ogni caso, anche la gratuità spirituale, nel senso di non essere continuamente condizionati dal bisogno di controllare i risultati del proprio servizio. È la gratuità del seminatore che getta il seme senza risparmio, confidando nella potenza della parola del Signore e dell’azione del suo Spirito. È, inoltre, la gratuità del servo (di cui parla Gesù) che, dopo aver fatto tutto quello che doveva fare, dice: «Sono sempre e soltanto un servo».

mons. Corrado Pizziolo
Vescovo di Vittorio Veneto, Delegato per la Commissione Regionale del Triveneto per la Dottrina della Fede, l’Annuncio e la Catechesi

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