Cucine economiche popolari, porta aperta nella città
Centinaia di pasti, vestiti, cure mediche. «Ma il cuore sono le persone, attraverso i servizi arriviamo a loro». Le persone si devono sentire riconosciute e accolte, senza giudizi. Un sorriso, un “buon pranzo”, un “come stai?”. È tutto questo che crea un ambiente davvero umano
450 i pasti serviti ogni giorno in inverno
300 quelli preparati in estate
30 docce effettuate ogni giorno (dalle 8 alle 10.30
20 le persone che ogni giorno si avvalgono del servizio guardaroba dove si trovano indumenti per adulti e ragazzi
Da decenni le Cucine economiche popolari di Padova rappresentano molto di più di un piatto di pasta per le persone in difficoltà. «È un luogo dove ogni uomo e ogni donna – spiega suor Albina Zandonà – trovano risposta ai loro bisogni primari: cibo, vestiti, salute, igiene». Ma non è tutto, anzi, forse questo è solo la superficie: «Non siamo un centro servizi, dove le docce sono le migliori e la cucina è perfetta. Il nostro focus non sono i servizi, ma le persone: arriviamo alle persone tramite i servizi».
Per questo le Cucine economiche popolari sono la “porta aperta nella città di Padova”: «Qui si accoglie soprattutto chi non ha punti di riferimento. E allora le cucine diventano quel punto di riferimento, che non trattiene, ma come un ponte collega le persone verso altri luoghi, indirizzandole verso servizi sociali, Caritas, pane dei poveri».
La recente Fondazione di partecipazione voluta dal vescovo Claudio non arriva a caso: «Le Cucine diventino sempre più della Città e della Chiesa di Padova. Non rimangano solo un luogo dove qualcuno pensa ai senza dimora e dunque gli altri non ci debbano pensare, ma un polo in grado di smuovere e risvegliare le coscienze dei cristiani, di cui tutti possiamo sentirci responsabili».
Una porta aperta, per tutti. «Vogliamo che vengano non solo le persone nel bisogno, ma anche chi è in una situazione di normalità, sia con la “cena sospesa” sia con la possibilità di cenare da noi serenamente. Vogliamo che diventi un luogo di normalità, non un ghetto. Certamente non diventeremo un ristorante, non è il nostro scopo, ma è importante che cambi l’immaginario che sta dietro le Cucine economiche popolari, come luogo pericoloso da evitare». Una mano possono darla i giovani: «Giusto per i nostri ragazzi fare campi di servizio in luoghi lontani, ma è giusto anche prendersi cura delle realtà che appartengono alla nostra Chiesa. Le cucine hanno un grande potenziale per risvegliare le coscienze addormentate e trasformarsi in luogo di evangelizzazione».
Parole non dette a caso: «Il nostro Dio si è incarnato davvero, non ha fatto filosofia, si è preso cura delle persone e dei loro bisogni proprio nel tempo in cui è venuto. Noi siamo un po’ addormentati come cristiani: pensiamo al momento storico che stiamo vivendo. L’altro ci spaventa, ci fa paura, e dunque poterlo incontrare in un luogo come questo può fare la differenza». L’incontro, da sempre, sfata miti e apre orizzonti: «Chi viene se ne va dicendo: “Non mi aspettavo fosse così”, per la pulizia, l’atmosfera, la presenza di persone diverse, stranieri e italiani. Se solo ascoltassimo queste storie, se solo arrivassimo in profondità, allora capiremmo davvero».
Le Cucine, che ogni giorno elargiscono 450 pasti d’inverno e 300 d’estate hanno come fondamento sia le otto persone assunte che uno stuolo di volontari che si alternano. I pasti, le docce, il medico, sono tutti elementi per instaurare relazioni: «Le persone si devono sentire riconosciute e accolte, senza giudizi. Un sorriso, un “buon pranzo”, un “come stai?”. È tutto questo che crea un ambiente davvero umano».