Vinciamo la paura. Come annunciare che Dio è vicino, si chiede Francesco

Angelus nella domenica in cui il Vangelo di Matteo ci fa riflettere sull’incontro di Gesù con i dodici apostoli che “chiama per nome”.

Vinciamo la paura. Come annunciare che Dio è vicino, si chiede Francesco

Primo Angelus di Papa Francesco dopo l’intervento al Policlinico Gemelli e la degenza post-operatoria. Accolto dall’applauso dei presenti in piazza San Pietro, il vescovo di Roma ha subito espresso gratitudine per le manifestazioni di “affetto, premura e amicizia” ricevute e per “il sostegno della preghiera”; una vicinanza umana e spirituale che è stata “di grande aiuto e conforto”. Ma non ha fatto mancare la sua preoccupazione, la sua “grande tristezza e tanto dolore” per il naufragio avvenuto al largo delle coste della Grecia – “sembra che il mare era calmo” – e, ricordando la Giornata mondiale del rifugiato, ha rinnovato la “preghiera per quanti hanno perso la vita” implorando che “sempre si faccia tutto il possibile per prevenire simili tragedie”.
Angelus nella domenica in cui il Vangelo di Matteo ci fa riflettere sull’incontro di Gesù con i dodici apostoli che “chiama per nome” e li invia esortandoli a “annunciare una cosa sola: predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino”. È lo stesso annuncio, afferma il Papa, “con cui Gesù ha iniziato la sua predicazione”. Non è una notizia come le altre, aggiunge “ma la realtà fondamentale della vita”, perché “se il Dio dei cieli è vicino, noi non siamo soli sulla terra e anche nelle difficoltà non perdiamo la fiducia”. Non è un Dio distante perché ci ama, dice il Papa, “vuole tenerti per mano, anche quando vai per sentieri ripidi e accidentati, anche quando cadi e fai fatica a rialzarti e a riprendere il cammino”; anzi proprio “nei momenti in cui sei più debole puoi sentire più forte la sua presenza”.
Parole che fanno tornare alla mente quelle pronunciate in piazza san Pietro da Giovanni Paolo II il 22 ottobre 1978, messa di inizio pontificato, quel “non abbiate paura” ripetuto tre volte, messaggio di speranza, di salvezza e di liberazione; quello “spalancare le porte a Cristo”, aprire “i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici”. Lui stesso dirà, all’indomani della caduta del muro di Berlino, che non sapeva dove lo avrebbero portato quelle parole, rimaste nella memoria del mondo.
Gesù, ci dice Matteo nel Vangelo, chiama per nome i dodici: il volto concreto di una vera comunità. Ci sono nomi noti Simone diventato Pietro, e poi Andrea, pescatori, Giacomo e Giovanni; quindi, Taddeo di cui non sappiamo nulla. Ancora Matteo che da esattore delle tasse è diventato discepolo e apostolo, e Giuda, che lo tradirà. Gesù conosce le loro storie e le infedeltà. Ma conosce il cuore dell’uomo, e invia i dodici, chiede di pregare e da loro “potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità”, leggiamo in Matteo: “la messe è abbondante, ma sono pochi gli operai”.
Nel commento al Vangelo Papa Francesco invita a “pensarsi come un bambino, che cammina tenuto per mano dal papà: tutto gli appare diverso. Il mondo, grande e misterioso, diventa familiare e sicuro perché il bambino sa di essere protetto”. Ecco che vince la paura e impara a aprirsi: “incontra altre persone, trova nuovi amici” e cresce in lui “il desiderio di diventare grande e di fare le cose che ha visto fare dal papà”. Vicini a Dio, dice il vescovo di Roma, “vinciamo la paura, ci apriamo all’amore, cresciamo nel bene e sentiamo il bisogno e la gioia di annunciare”. Per essere buoni apostoli, afferma il Papa, bisogna essere come i bambini e “sederci sulle ginocchia di Dio e da lì guardare il mondo con fiducia e amore, per testimoniare che Dio è padre”.
Ma come annunciare che Dio è vicino, si chiede Francesco. Nel Vangelo, Gesù raccomanda di non dire tante parole, ma “compiere gesti di amore e di speranza nel nome del Signore”. Così se la prende con coloro che definisce “i parolai” che lo lasciano perplesso “con il loro tanto parlare e niente fare”. Già San Francesco ai suoi fratelli diceva: predicate sempre il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole”.
Nelle parole che pronuncia dopo la preghiera mariana, il Papa ricorda i giovani studenti vittime dell’attacco contro una scuola nell’ovest del Rwanda per poi condannare “questa lotta, questa guerra dappertutto: preghiamo per la pace”. E non dimentica Francesco la popolazione della martoriata Ucraina “che soffre tanto”.

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Fonte: Sir