"L'operatore pastorale-professionista della cura. Il ‘darsi’ che aiuta veramente”. Il Convegno Aipas del Triveneto

Grande partecipazione al Convegno dell'Associazione italiana di pastorale sanitaria (Aipas) del Triveneto dal titolo “L'operatore pastorale-professionista della cura. Il ‘darsi’ che aiuta veramente” tenutosi il 17 febbraio alla Casa di spiritualità Oasi Sant'Antonio di Camposampiero.

"L'operatore pastorale-professionista della cura. Il ‘darsi’ che aiuta veramente”. Il Convegno Aipas del Triveneto

La mattinata ha visto gli interventi della biblista Federica Vecchiato e di padre Danio Mozzi, direttore del Centro camilliano di formazione di Verona, con la moderazione di padre Adriano Moro cappellano dell'Azienda ospedaliera di Padova, vicedirettore dell’Ufficio diocesano di pastorale della salute e membro del Consiglio nazionale Aipas. Ha portato il suo saluto anche il vescovo di Treviso, mons. Michele Tomasi, sottolineando l'importanza di offrire sempre una promessa di cura al malato e quanto sia importante, all'interno dei nostri contesti parrocchiali e di vita quotidiana essere testimoni del volto di Cristo che si cala sull'umanità.

Federica Vecchiato, insegnante di religione che si è molto occupata di studi sui Salmi, ha approfondito un testo degli Atti degli apostoli: 9,32-42. Brano in cui Pietro opera due guarigioni, in un uomo e in una donna. L'uomo si chiama Enea, è malato gravemente e «giaceva sulla barella ed era paralitico»; la donna invece è Tabita, devota, osservante e rispettosa, che si ammala e muore.

Vecchiato evidenzia come Pietro operi le guarigioni prima di tutto nell'incontro, entrando in relazione con loro, offrendo sensibilità e disponibilità. Non spreca le occasioni che gli sono offerte e non si pone in un'ottica di “sono superiore a te”.

Il curare, nel brano, passa attraverso la parola, più che dai gesti e l'interlocutore viene sempre chiamato per nome, ricordando che il malato non è una categoria, ma una persona.

L'azione di Pietro è fraternizzare: né Gesù né Pietro sono dei professionisti. Si deve “essere” prima di chiedersi cosa “fare”: è infatti nel modo di porsi e condursi che si rappresenta l'adesione a Gesù; questo rappresenta l'espressione della propria identità e maturità, non tanto una professione acquisita.

Curare significa dunque curare con il cuore, “professionisti” in quanto appassionati della, e per, la vita. Nella cura ciascuno si svela e si ri-vela. Si deve imparare a stare con l'altro, dare del tempo, in modo ancora più stringente con i giovani e con gli adolescenti.

Padre Danio Mozzi, già cappellano all’Ospedale di Borgo Trento a Verona, ha evidenziato l'importanza dell'ascolto e dell'avere «un cuore che ascolta». Gli operatori pastorali devono mettere in atto un ascolto consapevole, una relazione d'aiuto, “accordarsi” sulla stessa frequenza di chi si ha davanti.

Si tratta di un ascolto attivo e non passivo; ascoltando, non si deve avere la presunzione di aver capito tutto, ed è importante ascoltare e conoscere sé stessi, prima di ascoltare gli altri.

Il sacerdote ha posto l'attenzione sugli “ostacoli” che possono frapporsi nell'ascolto del malato: l'ansia, il giudizio, il calcolo, la superficialità, l'impazienza, la predica, la passività, la distrazione, la selezione.

Nella relazione d'aiuto e nell'ascolto, poi, è necessario purificare continuamente le proprie motivazioni e chiedersi quali sono i bisogni (e i valori che guidano i bisogni) propri e quali quelli del malato. Per farlo, vanno affrontate le proprie ferite.

Infine, il linguaggio: non deve dare risposte valutative, né interpretative, né consolatorie, né investigative, né soluzioni immediate. Ma offrire piuttosto risposte empatiche non giudicanti e non violente.

Dopo i due interventi la giornata è proseguita con alcuni lavori in gruppo sul tema dei valori, prendendo consapevolezza delle motivazioni personali che orientano l'agire pastorale, e confrontandole con l'ambito dei propri bisogni e dei propri valori.

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