Giubileo e carcere. Ipm Nisida. Don De Luca: “La sfida più grande è far emergere la bellezza dell’umanità dei ragazzi e portare speranza”

All’istituto minorile il Festival della vita ha compiuto una tappa, il 31 gennaio, con una messa e l’ostensione di una reliquia del beato Carlo Acutis. A incontrare i giovani detenuti c’erano pure Massimo Monzio Compagnoni e don Enrico Garbuio del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica della Cei. Con l’8x1000, infatti, si sostengono anche i sacerdoti impegnati in tante attività in carcere

Giubileo e carcere. Ipm Nisida. Don De Luca: “La sfida più grande è far emergere la bellezza dell’umanità dei ragazzi e portare speranza”

“Portare un messaggio di speranza ai ragazzi che cercano un riscatto dalle loro scelte sbagliate e presentare la figura del beato Carlo Acutis, che mostra come si possano fare scelte diverse”. Nelle parole di don Ampelio Crema, direttore del Centro culturale San Paolo, il senso della visita organizzata all’Istituto penale minorile di Nisida, il 31 gennaio, nell’ambito delle attività del Festival della vita, con una messa, l’ostensione di una reliquia di Carlo Acutis, che sarà canonizzato da Papa Francesco il 27 aprile, durante il Giubileo degli adolescenti, e doni per i minori detenuti. Tra i presenti il cappellano di Nisida, don Fabio De Luca, Massimo Monzio Compagnoni, responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica della Cei, e don Enrico Garbuio, assistente pastorale e spirituale del medesimo Servizio.

“L’esperienza in carcere è stata davvero significativa, perché ha fatto vedere come la Chiesa sappia guardare quelle realtà talvolta invisibili agli occhi di tutti, quelle realtà talvolta definite scarti, portando gioia e soprattutto riportando la voglia di vivere, proponendo un’umanità piena e bella come l’umanità di Cristo. Una Chiesa che porta la speranza, che vuole dare sempre la possibilità di riprendere il cammino, soprattutto a coloro che pensano che non ci sia più un’ulteriore possibilità nella vita, che non ci sia più la possibilità di rialzarsi, che non ci sia la possibilità di un cambiamento”, dice Massimo Monzio Compagnoni.

“Davanti o ai ragazzi del carcere mi sono chiesto quale responsabilità abbiamo come adulti e in modo particolare come padri di famiglia. E qui lancio un invito a tutti: stare accanto ai nostri figli in qualunque situazione si trovino, nel bene e nel male, nelle virtù e nei peccati. Stare accanto a loro significa amarli e incoraggiarli attraverso il proprio esempio e le parole rivolte al cuore, per far sì che si sentino sempre amati da Dio”, aggiunge, sottolineando che “la Chiesa fa molto per tutelare la vita. E se la Chiesa oggi riesce a tutelare la vita, lo può fare grazie alle firme per l’8x1000”. Di qui l’invito a “continuare a sostenere, con l’8×1000, la Chiesa e i nostri sacerdoti che quotidianamente, talvolta in trincea, si trovano a difendere la vita dall’inizio alla fine”.

La visita a Nisida si è svolta nel giorno in cui la Chiesa fa memoria di San Giovanni Bosco. “Entrando a Nisida – afferma don Enrico Garbuio – ho pensato a questa grande figura innamorata e appassionata dei giovani come don Bosco. E ho pensato proprio a quando lui si recava a Torino al carcere ‘La Generala’, con quel grande desiderio di recuperare e di ridare vita ai sogni di questi ragazzi, e a quell’episodio in cui sogna di portarli a fare una passeggiata soli con lui e gli viene detto di sì, a patto che fossero sorvegliati a vista dalla polizia. Don Bosco chiede il permesso di essere da solo con loro. Ma per ottenere questo permesso ha dovuto chiederlo al ministro Rattazzi. Dopo aver riportato indietro tutti i ragazzi dopo la passeggiata, gli viene chiesto qual è stato il segreto dell’atteggiamento impeccabile da parte dei ragazzi della Generala. Don Bosco risponde: ‘Perché noi parliamo di Dio e soprattutto al cuore di questi ragazzi con parole che provengono da Dio’”.

A Nisida “ho potuto sperimentare quanto bene la Chiesa faccia attraverso i suoi cappellani, attraverso i tanti volontari di movimenti e associazioni, all’interno delle carceri, parlando di Dio, con il grande desiderio di dare nuove ali a questi ragazzi per poter riprendere il volo e volare”.

Vedere 80 minori, di cui solo 5 stranieri, in carcere “mi ha colpito: sostenere la Chiesa cattolica, anche economicamente, attraverso la firma dell’8×1000 – rimarca don Garbuio -, significa anche sostenere tutti quei sacerdoti che quotidianamente si spendono all’interno delle mura del carcere per far sì che i sogni dei ragazzi possano riaffiorare e ridare loro speranza”.

“L’iniziativa promossa dal Festival della vita – ci racconta don Fabio De Luca – è stata accolta molto bene, c’è stata una buona partecipazione da parte dei ragazzi. Erano presenti anche diversi educatori e agenti, è stato un momento bello.

La presenza della reliquia del beato Carlo Acutis e la testimonianza sulla sua vita hanno coinvolto molto i ragazzi. È stato ‘un giovane che ha parlato ai giovani’.

I ragazzi sono stati colpiti dall’esperienza di vita di un loro coetaneo che ha fatto scelte totalmente diverse dalle loro”. “Anche le persone che sono venute – continua il cappellano – sono state molto brave a entrare in dialogo con i ragazzi: si è creato questo clima molto familiare che ha permesso sia una partecipazione attenta alla celebrazione eucaristica, sia al confronto che c’è stato anche in maniera personale tra gli ospiti e i ragazzi. Ha fatto bene a tutti, è stato veramente un momento molto forte. Le persone che sono venute, tra l’altro, hanno portato anche dei doni ai ragazzi e questa attenzione da parte loro – del Servizio per il sostegno economico alla Chiesa e di chi ha organizzato il Festival della vita – è stata gradita dai ragazzi perché si sono sentiti curati”.

I ragazzi, dai 14 ai 24 anni, in Istituto sono 78, un numero molto elevato. “Fino a qualche anno fa la media oscillava tra i 40 e i 50 – ci spiega il cappellano -. Da alcuni anni non c’è più il reparto femminile. Il Dipartimento ha fatto la scelta di renderlo solo maschile anche per inviare qui a Nisida più ragazzi rispetto al passato”. Il decreto Caivano ha comportato “un maggior numero di arresti e di presenza nelle carceri di chi ha commesso reati anche in tenera età.

Tale situazione ha creato problemi soprattutto nel periodo in cui la metà della popolazione in istituto era fatta da stranieri. Le peculiarità degli istituti penali minorili del Sud sono diverse da quelle del nord, perché qua la presenza di autoctoni è molto rilevante, a differenza del nord dove è forte la presenza degli stranieri.

Nel nostro contesto le logiche stesse tra i ragazzi sono complesse, perché riproducono all’interno dell’istituto quelle che sono le logiche delle varie faide o alleanze familiari che ci sono nell’area metropolitana. Già gestire nel carcere la sicurezza in un clima del genere non è facile, è ancora peggio se su 60 ragazzi, di cui 30 napoletani, si aggiungono 30 stranieri che si contrappongono ai napoletani e viceversa e, in più, tra gli stranieri stessi trovi che gli egiziani ce l’hanno con i marocchini, gli algerini con i tunisini”. Don De Luca evidenzia:

“È stato veramente difficile, anche perché, prevalentemente, i ragazzi stranieri sono refrattari a tutto perché hanno vissuto una tale disumanizzazione nei loro Paesi di origine e nei viaggi assurdi per venire in Europa, che non hanno proprio più nulla da perdere. Con loro è complicatissimo proporre l’aspetto educativo”. Adesso “è diminuita la presenza degli stranieri e la situazione è più gestibile sul fronte della sicurezza; poi c’è l’aspetto educativo che è condizionato tantissimo da tutte queste situazioni”.

In un contesto talmente complesso si può portare una parola di speranza? “Questo è l’obiettivo, ancor di più in un istituto minorile, che tutti si pongono: proporre a questi ragazzi la possibilità di una vita diversa. Altrimenti non avrebbe senso la presenza del cappellano ma anche degli educatori. Anche gli agenti di polizia penitenziaria sono fondamentali, alle volte si costruiscono tra agenti e ragazzi rapporti veramente importanti.

Tutti lavoriamo per dare una speranza ai ragazzi,

non solo ora con il Giubileo”. In carcere don Fabio è aiutato anche da un giovane sacerdote, poi ci sono i volontari e un bel gruppo scout: “La nostra è una presenza gioiosa. Con i ragazzi abbiamo costruito un rapporto semplice, spontaneo, ma profondo. Questo ci aiuta a entrare nella loro vita, si fidano di noi e accolgono quello che proponiamo loro che ha un nome: Gesù Cristo. Ci rivolgiamo a tutti, anche a ortodossi o musulmani, e a tutti proponiamo un’umanità piena.

La sfida più grande, ma anche più preziosa, è questo rapporto con loro, che cerca di far emergere la bellezza della loro umanità,

perché loro spesso si percepiscono brutti, feriti, come se non avessero nessuna possibilità nella vita se non fare quello per cui sono venuti in carcere. Annunciando il Vangelo, parlando di Gesù, ovviamente, annunciamo la speranza sempre”.

Come stanno vivendo l’inizio dell’Anno Santo? “I ragazzi fanno fatica a comprendere il senso del Giubileo per loro, anche se ci stiamo lavorando, stiamo facendo degli incontri.

La chiesa dell’istituto penale di Nisida è giubilare ed è venuto il vescovo di Pozzuoli, mons. Carlo Villano, c’è stata una celebrazione molto bella, il 4 gennaio, in cui sono stati coinvolti un po’ tutti, dalla magistratura agli educatori, agli agenti, ai ragazzi.

È stato un momento sicuramente forte, ma ai ragazzi interessa se ci sarà l’indulto per il Giubileo, perché il loro obiettivo è uscire dal carcere il prima possibile”.

Farete qualche iniziativa di carattere giubilare all’interno dell’istituto?

“Vogliamo portare un gruppo di ragazzi a Roma al pellegrinaggio giubilare che si organizzerà come diocesi. Siamo stati già l’anno scorso a Roma dal Papa con una decina di loro, è stata una esperienza molto bella. Tra l’altro hanno parlato con Francesco perché il Papa si è fermato proprio da loro. Vorremmo ripetere questa esperienza in quest’anno del Giubileo”.

Non solo: “Nell’istituto faremo la Via Crucis dei giovani della diocesi di Pozzuoli. Sempre per l’Anno Santo sto invitando i giovani delle parrocchie della diocesi a venire a celebrare la messa con noi a Nisida e in queste occasioni i ragazzi offrono una testimonianza del loro cammino di fede. Il dialogo che poi nasce sempre tra i ragazzi che sono a Nisida e i coetanei che vengono da fuori è sempre proficuo”.

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Fonte: Sir