Chiesa sinodale: riformare strutture e “fare cultura” viva

Alla Pontificia Università Lateranense giornata di studio su sinodalità e riforma della Chiesa. Castellucci e Baturi: occorre una cultura che interpreti la vita reale e strutture che sostengano la missione, favorendo partecipazione e corresponsabilità

Chiesa sinodale: riformare strutture e “fare cultura” viva

Due sono le piste individuate dall’Assemblea sinodale che si incanalano nell’esigenza di una riforma: la conversione comunitaria, attraverso un “fare cultura” che non resti chiuso ma accolga, e il superamento dei blocchi che permettono di liberare alcune dinamiche. Su questi temi, che costituiscono altrettante questioni connesse alla sinodalità, si è concentrata ieri la giornata di studio dal titolo “Fare cultura e riformare le strutture, due compiti della Chiesa sinodale”, promossa dall’Istituto pastorale Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense di Roma. Denis Biju-Duval, professore di teologia presso l’Istituto, afferma che la sinodalità, o il camminare insieme, “non è un programma di elaborazione di nuove strutture o di analisi di nuovi funzionamenti, ma è la natura stessa della Chiesa, un dono iniziato con la Chiesa stessa”.

Il professore ricorda come oggi emerga una problematica che riguarda la questione giovanile, visto che, non solo cronologicamente, proprio i giovani garantiscono il futuro. “La questione – dice – è legata alla loro minore presenza nella comunità.

Partiamo da una situazione problematica: in Italia la pratica dei giovani è dell’8% nel 2022, in Francia è del 3%. Si potrebbe sospettare che la sinodalità vista come dinamismo sia programmata dagli anziani per i giovani che non ci sono. La questione dunque è analizzare le ragioni di queste disfunzioni e sapere perché i giovani si sono mantenuti distanti dai processi”.

La fede con i suoi valori non fa più sistema: come fare allora cultura nel nuovo contesto? “Non certo proponendo una cultura egemone o solida, compatta e monolitica che si contrappone, ma una cultura che valorizza tutto ciò che esiste, che sappia rendere ragione della speranza”, afferma mons. Erio Castellucci, arcivescovo-abate di Modena-Nonantola. “Quando c’erano i blocchi ideologici molto forti – continua –, si creavano più facilmente dei muri. Oggi che i muri sono sgretolati e ci troviamo a volte anche con delle rovine, con delle distese di sassi, c’è meno rigidità e c’è un po’ più la capacità – anche umile – di venirsi incontro tra le diverse posizioni. Poi ci sono naturalmente sempre gli indifferenti, i rigidi, ma questo dappertutto, anche nelle nostre file cristiane. Credo – aggiunge – che fare cultura oggi, almeno in Italia, significhi mettere a contatto vivo le tante esperienze in tutti i campi, con le idee alla base, che per noi cristiani sono la motivazione. Se ha una dignità culturale – sottolinea –, un’azione deve essere possibile a tutti per la crescita della società.

Papa Francesco ci ha ripetuto più volte che la realtà è più importante dell’idea. È un capovolgimento quello che opera il Pontefice per dire che la cultura esiste già, è la vita della gente che va interpretata, il modo in cui si affronta il dolore, le strutture sociali che vengono costruite. Tutto questo chiede di essere interpretato”.

Nel suo intervento in video collegamento, il segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), mons. Giuseppe Baturi, sottolinea l’urgenza della riforma voluta da Papa Francesco, spiegando che le sue finalità possono realmente cambiare il modo di essere della Chiesa. Baturi parla della necessità di rendere la Chiesa più missionaria, favorendo l’incontro tra le diverse realtà pastorali e riconoscendo che la fede non può essere data per scontata.

“Le strutture – sottolinea – devono sostenere la vita della Chiesa, non sostituirsi ad essa”, aggiungendo che la sinodalità e la corresponsabilità di tutti i battezzati sono elementi fondamentali per questa riforma.

Fra i criteri di azione che devono guidare le strutture ecclesiali, il segretario generale della Cei indica: attenzione ai bisogni reali, centralità della persona e vicinanza. “C’è – sostiene – la necessità di un maggiore coordinamento tra i consigli, invitandoli a collaborare per progetti comuni, superando la tendenza a difendere i propri confini. La trasparenza è essenziale per favorire la partecipazione dei fedeli, che devono essere informati per poter contribuire attivamente”. Il segretario generale riconosce un senso di incompiutezza riguardo alla partecipazione ecclesiale e al coinvolgimento del tessuto sociale, sottolineando l’impegno e la fatica necessari per costruire organi partecipativi. Affronta infine il tema della missione delle comunità nel proprio ambiente, identificando il discernimento come il principale ostacolo e ricorda che i consigli sono chiamati a partecipare ai processi decisionali e a rendere conto del proprio operato.

Maria Elisabetta Gramolini

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Fonte: Sir