Montegrotto. O si fa comunità, o non c'è futuro. Le sfide del termalismo nel dialogo con il vescovo
Montegrotto. Laici, albergatori, sindacalisti in dialogo col vescovo per raccontare sfide e problemi di un settore strategico per il territorio.
Più che un incontro è una chiacchierata, nello stile di una visita pastorale che è fatta anche (e forse soprattutto) di ascolto del territorio, della sua vita, delle sue attese. In canonica, dopo cena, seduti attorno a un tavolo col vescovo e don Roberto Bicciato, alcuni laici della parrocchia e una manciata di operatori del settore termale, albergatori e sindacalisti. Tema, il presente e il futuro di un settore che ha fatto la fortuna di Montegrotto e che oggi fatica a tenere il passo di un mondo che corre veloce, in cui i concorrenti si moltiplicano e le richieste dei turisti non sono più quelle d’una volta.
In attesa del consuntivo 2018, quel segno più che finalmente ha contraddistinto il 2017 è per tutti una boccata d’ossigeno. Quasi ottocentomila arrivi e poco meno di tre milioni di giorni di presenza dicono che qualcosa si è mosso. Ma in che direzione? Non in quella classica, i fanghi e il soggiorno sanitario, per cui il bacino euganeo è unico al mondo. Il marketing turistico oggi “spinge” l’esperienza di benessere, il wellness, la piscina, il trattamento estetico, ingredienti di una pausa “mordi e fuggi” nel fine settimana. Alcuni alberghi si sono adeguati andando alla ricerca di nuove fette di clientela, altri cercano di tenere duro, una decina sono ormai chiusi, desolati e desolanti involucri vuoti nel cuore della città. D’altronde servirebbero investimenti cospicui, ma la marginalità per le imprese è così bassa che i grandi gruppi alberghieri qui non ci sono più: rimangono le famiglie, alcune delle quali storiche, per le quali – parafrasando e ribaltando il celebre detto – “questa casa è un albergo”, o meglio ancora l’albergo è proprio casa, accumulo di memorie, famiglia allargata ai dipendenti.
I lavoratori, è scontato, sono i primi a soffrire. Abano e Montegrotto sono state all’avanguardia nel campo del welfare aziendale: qui sono nate ancora negli anni Settanta le prime esperienze di mutualità compartecipata, qui si era riusciti a trovare un accordo per garantire continuità di reddito lungo tutto l’anno in un settore che per sua natura è stagionale. Nel giro di poche stagioni, tutto è andato in fumo. Da due anni quando chiude la stagione i lavoratori a tempo indeterminato restano a casa senza stipendio e contributi, e così paradossalmente è meglio tornare ai contratti a tempo che almeno (decreto dignità permettendo) consentono di prendere il sussidio di disoccupazione.
Ma forse la preoccupazione maggiore è un’altra, viene prima e sovrasta le questioni sindacali. Se per decenni Montegrotto e termalismo sono state un’unica cosa, oggi non è più così: il costo delle case ha spinto altrove i lavoratori, e altrove vivono anche i proprietari di tanti negozi e alberghi. Risultato? Quando è il momento di eleggere il sindaco, loro non votano. E così, inevitabilmente, quel legame virtuoso tra politica, imprenditori, cittadini che aveva fatto da volano alla crescita si è interrotto perché le questioni su cui si conquistano i voti sono altre. E dietro al dato politico, la percezione che qualcosa si è rotto nella comunità, nel senso di coesione e anche dal punto di vista morale, dopo l’era Claudio e i grandi scandali che hanno travolto due amministrazioni. «Dobbiamo riscoprire – riflette Martina Turlon, un passato impegno politico e oggi attiva nel mondo del terziario – il senso di comunità, perché solo lì possiamo trovare la forza di superare la crisi. E dobbiamo porci il problema del ricambio generazionale, in tutti gli ambiti».
Ecco, la comunità, il vero problema trasversale a un’intero territorio e a un’intera epoca. Senza coesione, senza sentirsi parte di un cammino comune, non si fa comunità. E qui, nella costruzione di fondamenta solide per il futuro, parrocchie e cristiani hanno una parola da dire e un ruolo da giocare se non vogliono arrendersi al clima di disgregazione che avanza. «Ma questo – riflette il vescovo Claudio – significa porci un interrogativo che viene prima delle proposte da fare ai turisti, prima del ruolo che ognuno riveste: che ricchezza interiore c'è oggi nelle nostre comunità? Dove dobbiamo andare, e come facciamo a incamminarci tutti nella giusta direzione? Noi cristiani siamo chiamati a spenderci per questo, in termini liberi e laici ma incarnando la nostra fede nei contesti della vita. Altrimenti, senza un tessuto connettivo forte, senza un’idea di bene da costruire per il territorio e chi vi abita, rimane solo l’attesa salvifica di un leader». E Montegrotto, vale la pena ricordarlo, ha già sperimentato sulla sua pelle quanto ambigua e pericolosa possa essere.
Dal lavoro si torna al sussidio
Se i numeri tornano leggermente a crescere, i clienti non sono più quelli di una volta. La vacanza alle terme è sempre più corta e gli stranieri diminuiscono.
I lavoratori sono i primi a soffrire. Abano e Montegrotto sono state all’avanguardia nel campo del welfare aziendale: qui sono nate ancora negli anni Settanta le prime esperienze di mutualità compartecipata, qui si era riusciti a trovare un accordo per garantire continuità di reddito lungo tutto l’anno in un settore che per sua natura è stagionale. Nel giro di poche stagioni, tutto è andato in fumo. Da due anni quando chiude la stagione i lavoratori a tempo indeterminato restano a casa senza stipendio e contributi, e così paradossalmente è meglio tornare ai contratti a tempo che almeno (decreto dignità permettendo) consentono di prendere il sussidio di disoccupazione.