Cittadella. La visita ai malati tra i reparti dell'ospedale del vescovo Claudio
L'incontro con la Cappellania che ogni giorno porta Cristo a chi soffre. "Non puoi amare Dio se non ami tuo fratello"
Quando le dicono che c’è il vescovo, l’anziana signora Angelina quasi sobbalza di gioia sulla sedia a rotelle, lungo il corridoio del reparto di Medicina 2. Siamo nell’ospedale di Cittadella, è il pomeriggio di venerdì 10 dicembre e don Claudio è appena entrato nella stanza di due degenti. Angelina non riesce a contenere l’emozione nella breve attesa: «Varda come che son messa?!», fa cenno alla nipote rassettando il golfino e, appena il vescovo la saluta, inizia il racconto dei lunghi anni a fianco dello zio, don Mario De Agostini, originario di Curtarolo, tornato alla casa del Padre nel 2013. Perfettamente lucidi nella mente i tempi di Santa Maria di Non, Cadoneghe, Borso del Grappa, fino al ritiro a Saletto di Vigodarzere che si conclude con un «el me daga ‘na benedission», chiesto di vero cuore.
Il personale sanitario del reparto, compreso il primario Natalino Simioni, e i componenti della direzione sanitaria che accompagnano don Claudio nella visita ai reparti assistono in silenzio. La gioia negli occhi di Angelina è contagiosa: per lei e molti altri pazienti si tratta di una giornata da ricordare.
Sono le 15.30 passate da un soffio quando il vescovo fa il suo ingresso accolto dai camici bianchi della cappellania ospedaliera, nata una dozzina di anni fa. Dopo le prime strette di mano, don Giuseppe Campagnaro, il cappellano, porta al vescovo il saluto anche dei cinque uomini e quattro donne, oltre al collaboratore don Roberto Calderaro, che compongono la cappellania. «Apprezzo molto il vostro impegno tra i malati – è la risposta – L’ascolto e la compagnia nella debolezza sono fondamentali. Vi esorto a essere un ponte tra l’ospedale e le comunità che lo circondano, segnalate al parroco o a un laico quando incontrate un malato della loro parrocchia, così che un ministro straordinario della comunione possa venire a trovarlo e fargli sentire che la sua comunità non si dimentica di lui».
I membri della cappellania condividono brevemente le esperienze intense che vivono tutti i giorni. Spesso accostano degenti di altre fedi che chiedono di pregare insieme, altre volte sono loro presenti nei momenti estremi della vita.
Michele Bisson è un infermiere in pensione, dal ‘98 non frequenta più l’ospedale per lavoro, ma per amore. «Siamo chiamati a farci uno con chi soffre – racconta mentre il vescovo accosta il letto di un paziente terminale – a entrare in una relazione ricca di empatia con il paziente, anche se le brevi degenze di oggi non rendono semplice tutto ciò». Alla base di questo servizio c’è una grande fede. «Ho ricevuto molto da Dio e ora Lo vedo in chi ha bisogno. Ho sempre presente dentro di me il passaggio del Vangelo in cui si dice che non puoi amare Dio che non vedi se non ami il fratello che vedi in carne e ossa».
Quando don Claudio raggiunge la pediatria, i piccoli ricoverati lo attendono con uno stuolo di rose bianche e un messaggio composto per l’occasione. Il vescovo benedice neonati, sostiene genitori che nella malattia di un figlio attraversano una prova più difficile che se il male avesse colto loro. A raccogliere le rose mentre la visita continua è Aurelio Pezzin, luogotenente dell’aeronautica militare in pensione, da alcuni anni membro della cappellania: «Tutto è iniziato con la malattia di mio suocero – confida – Per un periodo lo abbiamo accudito a casa con mia moglie, poi il morbo di Alzheimer lo ha costretto al ricovero e in un mese se n’è andato. È stato in quell’occasione che don Giuseppe mi ha contattato e ho capito che fare qualcosa per gli altri era doveroso: sin da quando sono uscito dal seminario porto il Signore nel cuore, ringrazio per tutto quanto ho ricevuto, a partire dalla famiglia che ho, con due splendide figlie». Si commuove Aurelio raccontando di come si possa portare contatto e vicinanza a chi soffre, chiedendo a Dio di esserne ogni giorno all’altezza.
Per Gianna Rosso il servizio in cappellania è stato un colpo di fulmine nel 2011: «Se inizi non fai più a meno – ricorda lei, che per vent’anni è stata catechista e membro della Caritas a San Donato – e infatti tutte le mattine alle 7 sono qui… Riceviamo molto più di quello che diamo portando l’Eucaristia: è proprio vero ciò che diceva don Tonino Bello, ogni letto d’ospedale è un altare e il camice bianco è il nostro paramento».
Alle 17.30 la chiesa dell’ospedale è gremita per la messa. «Sapete – confessa il vescovo Claudio all’omelia – ci sono momenti in cui non è facile parlare dell’amore di Gesù a chi soffre. Eppure è nelle notti della vita, nella sofferenza che emerge la fede vera. È in quelle occasioni che comprendiamo come Gesù abbia vinto l’ultimo nemico. Anche se la morte ci fa paura, sappiamo che il Signore è con noi e lui l’ha vinta».