Bocciata la riforma, la Costituzione resta com'è
Vince il No e tutto resta uguale: Senato, Titolo V, Cnel. Solo l'Italicum deve cambiare, possibilmente in fretta, perché non prevede l'elezione del Senato. Ecco lo scenario che ci restituisce la bocciatura della riforma.
Nel numero in edicola e in parrocchia nei prossimi giorni tre pagine dedicate al voto del 4 dicembre con analisi, scenari e la voce dei protagonisti.
Il No ha vinto e dopo mesi di discussione, anche feroce, sul futuro della Costituzione, si riparte pensando a nuove elezioni.
Rimane il bicameralismo perfetto, il Senato mantiene la medesima struttura e funzione con 315 senatori più quelli a vita, il Titolo V resta quello approvato con la riforma costituzionale del 2001, le province continuano a esistere in Costituzione anche se sono diventate un organo di secondo livello e rimane anche il Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro previsto dall’articolo 99 della carta costituzionale, con funzioni di consulenza per le camere e per il governo.
Resta l’articolo 70, quello che regola la formazione delle leggi, che recita semplicemente “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”
In molti in questa campagna referendaria hanno “recitato” quello proposto (e bocciato) perché ritenuto simbolo di complessità a causa dei numerosi rimandi ad altri articoli e commi. Quello del bicameralismo “perfetto” o “paritario”, è stato uno degli aspetti maggiormente discussi perché gli si imputa la farraginosità del nostro sistema legislativo.
Resta anche la funzione di controllo delle due camere sull’attività del governo, che invece nella revisione dell’articolo 72 si attribuiva il potere di indicare alle camere le “priorità all’ordine del giorno”.
Rimane la competenza legislativa concorrente tra stato e regioni
Una situazione che ha determinato in questi anni il moltiplicarsi dei ricorsi e ha portato spesso alla paralisi, come ben evidenziato ancora una volta a fine novembre dalla bocciatura della Corte Costituzionale alla riforma della pubblica amministrazione - legge Madia - caduta sui meccanismi di attuazione attraverso i decreti legislativi: in particolare, a seguito di un ricorso della regione Veneto, la sentenza ha affermato che il governo non può sottrarsi alla concertazione, procedura necessaria per garantire non solo il pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze, ma anche il successo delle riforme.
Tutto uguale anche per quanto riguarda i 15 giudici costituzionali: il parlamento in seduta comune ne elegge cinque, altri cinque li nomina il presidente della repubblica e altri cinque sono eletti dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa.
Non cambia nessun quorum anche per l’elezione del presidente della repubblica: votato in seduta comune dalle due camere, presenti anche i delegati regionali, nei primi tre scrutini deve ottenere i 2/3 dei voti, mentre dal quarto basta la maggioranza assoluta degli aventi diritto.
Legge elettorale, così com'è non funziona
La vittoria del No, a detta di tutti - politici e politologi - porterà presto a nuove elezioni e questo dovrebbe comportare una nuova legge elettorale perché quella vigente, il cosiddetto “Italicum”, norma solo l'elezione della Camera dei deputati.
Restando così le cose, a Palazzo Madama l'elezione sarebbe invece regolata dal “Consultellum”, vale a dire il “Porcellum” (la vecchia legge elettorale) depurato dai profili di incostituzionalità cassati dalla Consulta, in primis il premio di maggioranza che al Senato veniva attribuito su base regionale.
Ma il “Consultellum” appare oggi totalmente inefficace perché ottenere la metà più uno dei seggi necessari (161 degli attuali 320 senatori) con un riparto proporzionale rappresenta allo stato attuale un'utopia per qualsiasi forza politica.