La nostra festa illumini la vita
L’ingresso del vescovo Claudio è stato segnato da una palpabile emozione che ha accomunato autorità e fedeli giunti a salutarlo. Un’emozione che ora siamo chiamati a trasformare in gesti concreti e in uno stile di presenza vitale nella società, per essere testimoni autentici e credibili della bellezza del vangelo. A partire dalle scelte che ogni giorno facciamo nelle nostre famiglie.
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È stata un’emozione grande accogliere tra noi il vescovo Claudio. L’abbiamo letta sui volti delle persone che lo attendevano per potergli stringere la mano, l’abbiamo percepita nitida nei discorsi di benvenuto delle autorità, l’abbiamo sentita palpitante tra i banchi della cattedrale. Credo che tutti, domenica sera, siamo tornati a casa con un di più di fiducia e speranza, che non cancella le difficoltà della vita ma aiuta a guardare con occhi nuovi al percorso che ci attende.
«Vorrei che questa festa possa continuare nel tempo – ci aveva detto alla vigilia del suo arrivo – che sappia orientare i nostri giorni feriali». È stato davvero così, ed è un primo, grande dono che il vescovo Claudio ha fatto alla sua chiesa. Passata l’emozione, è dunque tempo di ripartire. È questo un altro verbo che il vescovo ha usato più volte nei suoi messaggi: ripartire, avendo ben chiara la direzione. L’omelia di domenica scorsa, il saluto ai sindaci in mattinata, il messaggio alla città e le interviste che don Claudio ci ha concesso in queste settimane indicano senza equivoci la rotta. «Ho un po’ di cose da rivedere in me stesso», diceva domenica il vescovo nel presentarsi. Vale anche per noi, per ciascuno personalmente e per la nostra chiesa, senza buttar via il tanto bene costruito ma consapevoli che i tempi nuovi richiedono risposte nuove, nei contenuti e nella forma.
E quelli che siamo oggi chiamati a vivere sono davvero tempi nuovi, per la chiesa e per la società intera. Due indicazioni emergono allora nitide, e a esse dobbiamo guardare per “orientare” nella giusta direzione il cammino. Le colgo entrambe dall’omelia del vescovo Claudio. La prima è tutta contenuta in una frase: «Oggi sono le scelte nel campo dell’economia che testimoniano le nostre priorità». Poche parole, chiare e senza equivoci, che rinforzano un percorso che la nostra diocesi ha già intrapreso con decisione – penso agli incontri su “preti e soldi” di qualche mese fa a villa Immacolata, penso alla nascita dei consigli per la gestione economica in parrocchia e in vicariato, penso ancor prima alle riflessioni sull’uso dei beni della chiesa portate dai nostri delegati ad Aquileia 2 – e che oggi diventa cruciale per la nostra credibilità. A maggior ragione in un momento di crisi, è sui soldi che sempre più spesso la chiesa viene giudicata (e tante volte, perfino ingiustamente, condannata) dall’opinione pubblica. Ma è nell’utilizzo dei soldi che anche ciascuno di noi, nella sua famiglia, viene chiamato a un esercizio esigente: per cosa spendiamo, con quali priorità, con quale capacità di aprirci ai bisogni del mondo, dice più di tante parole “che cosa” vogliamo essere. Dice, in ultima analisi, se la fede che professiamo è appena una patina depositata su vite che scivolano via indifferenti alla parola di Dio, o se ha avuto la capacità di farci davvero persone nuove. Perché anche la migliore gestione, anche il più efficiente servizio ai poveri – «la chiesa non è una ong», ci ricorda papa Francesco – restano poca cosa se fini a loro stessi. Se, in altre parole, non sono il frutto di una convinta, appassionata, radicale conversione interiore.
Ecco perché, ed è la seconda indicazione che tramava l’intera omelia del vescovo Claudio, c’è uno stile di chiesa che siamo chiamati oggi a far emergere con sempre maggior nitidezza, fuori e contro ogni logica mondana. È lo stile «del servizio, dell’umiltà, dell’abbassamento», alieno dalle tentazioni del potere – «sarebbe un tradimento!» – e scevro da «titoli, onorificenze, primi posti». In questo stile, e solo in questo, può prendere forma una testimonianza autentica, capace di parlare al cuore delle persone e accompagnarle a un nuovo incontro con la bellezza del vangelo. «Il mio legame con Gesù lo diranno non tanto le mie parole, ma la mia vita personale», ricordava il vescovo domenica. È un impegno che ciascuno di noi è chiamato a far proprio. Costa fatica ed espone a errori, non c’è dubbio. Chiede probabilmente un approfondito esame di coscienza, e magari qualche sostegno. Ma è questa la strada perché l’emozione provata domenica si sedimenti e duri nel tempo. Facendosi vita concreta. Riempendo, davvero, di festa tutti i nostri giorni feriali.