Insieme, sulle strade dell’uomo
Inizia il percorso verso l’ordinazione e l’ingresso in diocesi del vescovo Claudio. Ogni settimana un contributo per comprendere meglio la figura episcopale e le sue funzioni, alla luce della Scrittura e del magistero.
Prima tappa: la figura e i compiti del vescovo, dagli Atti degli apostoli alle parole di papa Francesco.
Per tutti, in questi anni, mons. Mattiazzo è stato il “padre vescovo”
Un termine, padre, che restituisce una densa pluralità di significati, a partire dalla qualità del rapporto con la comunità che ha guidato per 26 anni.
Per la chiesa i vescovi sono “successori degli apostoli”, nelle sintesi giornalistiche sono spesso “a capo” di una diocesi, a volte ci si rivolge loro come “guide” o gli si riconosce un “potere di governo”.
Un insieme di termini che finiscono però per restituire più la superficie che non l’essenza profonda del ministero episcopale.
Ecco perché vale la pena iniziare il cammino che ci condurrà fino all’ingresso del nuovo vescovo Claudio con una domanda preliminare, a partire dalla quale provare a comprendere il ruolo che è chiamato a svolgere e il rapporto che è destinato a instaurare con la diocesi: chi è il vescovo?
Don Sandro Panizzolo oggi è arciprete di Monselice e vicario foraneo
Ha insegnato ecclesiologia alla Pontificia università Gregoriana di Roma ed è stato rettore del seminario maggiore della diocesi.
«La figura del vescovo, in quanto successore degli apostoli, si qualifica essenzialmente per due elementi: l’essere testimone della Risurrezione, in quanto appartenente al collegio dei successori degli apostoli. Per capire meglio dobbiamo partire dalla Scrittura, tornando al primo capitolo degli Atti degli Apostoli, al momento in cui Pietro prende la parola di fronte ai fratelli ricordando il tradimento di Giuda che “era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione”. Il primo elemento allora è proprio questo: il vescovo è una persona che ha incontrato il Risorto, non per sentito dire ma per esperienza personale. Può sembrare scontato, ma invece è l’elemento essenziale, che libera la sua figura da ogni equivoco “mondano”. Non è questione di potere, ma di un incontro vivo con Gesù nella fede».
Accanto alla testimonianza della Risurrezione, c’è l’appartenenza al collegio episcopale. Cosa aggiunge alla fede?
«Torniamo agli Atti degli Apostoli: perché “sostituire” Giuda? Non potevano gli apostoli rimanere undici? In realtà Gesù chiamando i dodici intendeva dire che era arrivato il tempo della restaurazione delle dodici tribù, il raduno dell’Israele definitivo. Il carisma apostolico, e di conseguenza quello episcopale, ha dunque inscindibilmente radicata in sé la dimensione collegiale: il vescovo non agisce da solo, ma nel contesto di tutti gli altri vescovi, come un corpo unitario che eredita quella medesima valenza simbolico messianica. Non a caso il vescovo è sempre ordinato da più vescovi: la loro presenza è allora garanzia che la fede che il nuovo vescovo professa, e che diventa il raccordo dei cristiani della sua comunità, è davvero la fede apostolica. E l’essere in unità profonda con tutti gli altri vescovi garantisce la cattolicità e la missionarietà della chiesa che gli è affidata».
Testimonianza e collegialità. E il potere, il governo della diocesi?
«Qui sta la grande novità, o meglio la riscoperta che il Vaticano II ha consentito rispetto all’impostazione ereditata dal Concilio di Trento, che aveva fatto del vescovo un organizzatore, un gestore, trasformando di fatto l’episcopato in un grado di giurisdizione. Con la Lumen gentium abbiamo invece recuperato quelle dimensioni sacramentale e collegiale che sono originarie dell’episcopato e ne restituiscono il significato autentico. Allora, alla luce del Concilio, possiamo dire oggi che l’aspetto prevalente del suo ministero sta proprio nell’essere testimone della Risurrezione, che in quanto tale ripresenta l’azione di Gesù attraverso l’eucarestia e i sacramenti. E solo in quanto presidente dell’eucaristia, solo in forza di questo suo ruolo, è chiamato anche a organizzare il corpo ministeriale».
Testimone, ma anche guida della diocesi. Con quale stile e con quali compiti?
«Partiamo ancora dagli Atti degli Apostoli, dal capitolo 6 che racconta dei primi dissidi all’interno della comunità per come veniva organizzata la carità: “Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: ‘Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola’”. La preghiera viene prima di tutto... gli apostoli cercano di liberarsi dai compiti materiali per pregare, per mantenere vivo il legame col Risorto. Pensiamoci: se in una diocesi viene a mancare questo, tutto il resto perde significato, diventa gestione, managerialità ma senza avere più la forza della profezia. E dopo la preghiera, ecco il servizio della Parola: è “il vescovo araldo della Parola” come lo ha definito papa Giovanni Paolo II. C’è poi un secondo compito fondamentale, che è quello del santificare, ovvero di presiedere l’eucarestia ripresentando i gesti di salvezza e di guarigione per la comunità dei credenti. Terzo passaggio: dalla presidenza dell’eucarestia alla presidenza della comunità, la funzione di governare. La Lumen gentium spiega bene che non si tratta di un compito di natura politica ma spirituale, da esercitarsi con il consiglio, la persuasione, anche con l’autorità ma sempre ricordandosi che colui che governa deve fare come colui che serve».
Nel suo primo messaggio alla chiesa di Padova, il vescovo Claudio ha scritto: “Ascolteremo insieme il vangelo e i poveri. Insieme: cammineremo insieme”...
«Mi pare un’ottima indicazione. Se il compito del governo di un vescovo nasce per garantire che l’annuncio e il dono della grazia sia offerto capillarmente, è chiaro che non è un impegno a cui può assolvere da solo ma assieme a tutto il corpo ministeriale: i presbiteri, certo, ma anche i diaconi, i catechisti, gli operatori della Caritas, i consiglieri pastorali, gli animatori liturgici... il corpo ministeriale è la ricchezza più bella di una comunità, e la vera sfida è proprio quella di saper rendere sinergico, vitale, unitario questo universo composito, perché faccia un corpo solo col suo vescovo e testimoni la Risurrezione. Ecco allora, se posso aggiungere una mia considerazione, che ci auguriamo un vescovo dal cuore grande, che sia capace di amare, molto attivo nell’ascolto per poter discernere. Un vescovo soprattutto “umile e santo”, animato da un vero stile di servizio».
Papa Francesco la settimana scorsa ha incontrato i vescovi nominati quest’anno, tra cui il vescovo Claudio, consegnando loro alcune immagini molto belle. Soprattutto invitandoli a farsi «viandanti» accanto a tutti gli uomini, anche ai più lontani.
«Il papa indica tre categorie di persone. Ci sono quelli “di casa”, che però bisogna sempre scuotere dal torpore, dal logorio delle tante cose da fare e prenderli per mano, “guidandoli alla conoscenza del mistero che professano, allo splendore del volto divino nascosto nella parola, che forse pigramente si sono abituati ad ascoltare senza scorgerne la potenza”. Poi c’è chi si è allontanato, e allora Francesco chiede ai vescovi di essere per loro “viandanti apparentemente smarriti domandando che cosa è successo nella Gerusalemme della loro vita”. E infine ci sono quanti non conoscono Gesù o lo hanno sempre rifiutato: “andate nella loro direzione, guardate su quali alberi si sono arrampicati e ditegli di venire giù, fate loro capire che la salvezza passa ancora sotto l’albero della loro vita”... sono immagini evangeliche, bellissime, che provocano ciascuno di noi a trovare un modo nuovo di annunciare il vangelo, senza fermarci alla dottrina o ai documenti ma facendoci davvero compagni di viaggio, lasciandoci interpellare dai sogni e dai drammi della vita concreta. Mai come oggi abbiamo bisogno di “vescovi sulla strada degli uomini”: di quelli che già credono, di quelli che dubitano, di quelli che ancora attendono un incontro capace di cambiare nel profondo la loro vita».