Misericordia e male assoluto: prima di Cracovia c'è Auschwitz
Sveglia alle cinque e mezza questa mattina per i 371 pellegrini che hanno iniziato la loro GMG con la settimana di gemellaggio nella diocesi di Bielsko.
Prima della festa, prima delle preghiere, prima delle omelie dei vescovi sul tema della Misericordia, tappa obbligata è il campo di sterminio di Auschwitz, il “buco nero” dell’umanità del Ventesimo secolo, sede più famosa del genocidio più grande della storia.
Misericordia e male assoluto
Per alcuni questo è il luogo dove Dio è morto per sempre. Impossibile pensare ad un essere perfetto, creatore ed amante dell’umanità, dopo le camere a gas. Per altri, invece, è il segno che anche dove il male sembra trionfare senza incontrare la benché minima resistenza, si può respirare la Misericordia del Padre. La stessa che ha portato il frate conventuale Massimiliano Kolbe a sacrificare la sua vita in cambio di quella di un papà di famiglia. Proprio per questa seconda ragione, tutti i pellegrini padovani, in diversi momenti, come la stragrande maggioranza dei pellegrini italiani la visiterà in questi giorni di festa. Anche Papa Francesco lo farà venerdì prossimo, prima della Via Crucis nel parco di Blna, a Cracovia.
Auschwitz 1
Si comincia con Auschwitz 1, una vecchia caserma polacca riconvertita dai tedeschi a campo di sterminio. Le baracche dove vengono conservate le foto di tanti prigionieri, i loro vestiti, le loro valigie, i loro occhiali e persino i loro capelli sono chiuse in questi giorni di grande affluenza di pellegrini; la visita si consuma in poche decine di minuti. Questi casermoni di buona fattura non riescono, con le loro signorili architetture da sole, a restituire l’orrore e l’angoscia di un’umanità schiacciata.
La vita interrotta ad Auschwitz 2
Dopo pochi minuti di pullman, si arriva ad Auschwitz Birkenau, campo sussidiario realizzato solo dopo la dominazione tedesca in Polonia, quando i piani dei vertici nazisti già si orientavano verso la “soluzione finale”. Qui, a differenza del primo campo, gli immensi spazi, la distesa di baracche, la rotaia sopra la quale la gente arrivava sempre ma non ripartiva mai, parlano con chiarezza. Basta farci due passi per immaginare come si viveva lì, nel 1944: i treni che scaricavano centinaia di persone che da lì a poche ore sarebbero per la stragrande maggioranza finite nelle camere a gas, i miasmi irrespirabili che salivano dalle baracche nel caldo di luglio, tante donne e tanti uomini ridotti a larve da un’efficientissima macchina di morte. Se ad Auschwitz 1 si poteva sentire il canto di qualche uccellino, qui tutto tace. Non ci sono alberi di fronte ai resti delle camere a gas: sono rimaste lì, al loro posto, anche se i nazisti in fuga hanno cercato di demolirle per nascondere i loro crimini rimangono riconoscibilissime, con i muri ancora impregnati di Zyklon B. È stato scelto di non restaurare nulla per mettere a tacere ogni obiezione di possibili negazionisti.
A ridosso del campo, ci si immerge in un boschetto. Dopo il deserto, la bellezza di qualche segnale di vita. Ed è proprio qui, dentro un piccolo stagno, che riposano le ceneri trovate dai sovietici al momento della liberazione del campo. Lapidi in polacco, inglese ed ebraico ricordano la sacralità del luogo ed invitano alla sosta. Chi crede si ferma e prega, di fronte alla bellezza inquietante di questo luogo.
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“Siete voi, oggi, quelli che devono esprimere un pensiero”
La mattinata si conclude a due chilometri di distanza dal campo, nella chiesa intitolata a San Massimiliano Kolbe, con la messa. La città si chiama Oswiecim. Auschwitz è un nome tedesco, che qui non viene riportato nemmeno nei segnali stradali. Durante l’omelia, don Mirco Zoccarato cita Etty Hillesum, Primo Levi, Massimiliano Kolbe e Roberto Benigni: “Oggi però loro non sono qui. Ci siete però voi, cari giovani, con le vostre teste e i vostri cuori, con quello che avete pensato e con quello che avete provato ad Auschwitz. Tocca a voi esprimere un pensiero, un pensiero che leghi il dramma di 70 anni fa con quello di sette giorni fa: treni, camion, carri armati. Auschwitz è importante, all’interno di questa GMG, per guardare le cose con occhi più profondi. Oggi non si arriva più in treno ad Auschwitz, ma con il barcone a Lampedusa. Cosa ne pensiamo noi?”.
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La preghiera nella sinagoga di una comunità cancellata
Prima di tornare a Cieszyn, nel pomeriggio c’è spazio per una veloce visita a Oswiecim, cittadina polacca sul cui territorio insistevano le fabbriche di morte di Auschwitz, Auschwitz e Birkenau ed altri campi collegati. Un’occhiata alla piazza medievale, una alla chiesa dei Salesiani, poi tappa al museo ebraico, ricavato da una vecchia sinagoga. Prima della guerra Oswiecim era una città a maggioranza ebraica: su 14 mila abitanti ben ottomila erano ebrei, che ogni sabato si riunivano per la preghiera in quattordici moschee. La moschea dove ora è allestito il museo ebraico è stata riaperta dai 200 ebrei (su ottomila), qui tornati dopo il 1945, dopo che i nazisti l’avevano adibita a magazzino per le armi. Oggi, che ci sono più ebrei a Oswiecim, la sinagoga è usata dai fedeli da tutto il mondo, in particolare statunitensi e israeliani, che vi vengono a pregare dopo la visita ad Auschwitz.
I pellegrini osservano i rotoli della Torah. Un parroco della bassa vi si avvicina, emozionato, e domanda ai vicini: “Che dite, è brutto se mi faccio un segno della Croce?”.