Sanità e sociale, sistema da ripensare
Crisi, invecchiamento e struttura familiare che cambia hanno spinto molti paesi Ue a ripensare sistemi di cura. E in Italia? L’analisi di Welfare Oggi: compito di riforma è caduto sulle regioni che non hanno capacità istituzionali e mezzi economici per riorganizzare il sistema.
«A partire dagli anni Novanta, diversi paesi europei, in particolare i paesi nordici, hanno iniziato a introdurre servizi di natura sociosanitaria rivolti specificamente alla popolazione anziana non autosufficiente, modificando il precedente e tradizionale approccio basato su tre pilastri quali, il sistema pensionistico, il sistema sanitario e il supporto familiare – scrive Matteo Luppi in un contributo pubblicato sul numero 3/2016 di Welfare Oggi – Purtroppo, il “periodo d’oro” dei sistemi di cura ha avuto una vita relativamente breve», e la società europea si trova a dover fare i conti con un “cambio di paradigma” che orienterà probabilmente i prossimi decenni a venire.
Le motivazioni? Oltre alla crisi economica, sono due elementi di carattere socioeconomico: il progressivo invecchiamento della popolazione e la crescente partecipazione femminile nel mercato del lavoro con conseguente riduzione della capacità di cura familiare.
Ma il nostro paese mostra una situazione nettamente diversa rispetto agli altri paesi analizzati (Francia, Belgio, Spagna, Svezia e Polonia), e per molti aspetti più preoccupante. La principale ragione, è che «In Italia non sono state introdotte riforme di carattere nazionale e il compito di riforma e innovazione sociale è ricaduto sulle regioni che non hanno le capacità istituzionali e i mezzi economici per riorganizzare il sistema – scrive Luppi – che si basa prevalentemente sul supporto monetario alla cura con un alto livello di responsabilizzazione della famiglia, sia in termini diretti come caregiver che indiretti con l’acquisto di servizi di cura. Inoltre, l’analisi evidenzia la duplice penalizzazione delle famiglie con persone non autosufficienti e basso reddito, esposte a due rischi: il deterioramento economico e la bassa qualità delle cure».
Nei prossimi 45 anni la popolazione mondiale passerà da 7,2 a 9,5 miliardi di persone: la popolazione più giovane crescerà dell’8 per cento, mentre quella più bisognosa di cure, ovvero gli over 85, del 281 per cento. Europa e Italia non sono immuni da questo invecchiamento progressivo della popolazione: in mezzo secolo in Europa la quota di over 85 passerà da poco meno di un terzo della popolazione al 41 per cento, in Italia raggiungerà il 50 per cento. In termini economici, si stima che nel 2060 la spesa pubblica per le attività di cura della fetta più anziana della popolazione possa giungere a oltre 3 punti di Pil, con un forte impatto sulla sostenibilità per le casse pubbliche.
D'altronde, a rendere quasi inevitabile un più forte impegno dello stato, è la progressiva scomparsa del tradizionale modello di cura, che vedeva la famiglia come principale fornitore di cure. «Un fenomeno determinato sia dalla crescente partecipazione femminile nel mercato del lavoro, spinta anche dalla necessità di un doppio reddito per garantire il mantenimento economico familiare, sia dal progressivo innalzamento dell’età pensionabile che ha innescato un meccanismo similare», privando le famiglie del sostegno dei nonni.
Rispetto ai paesi analizzati dallo studio di Welfare oggi, l’Italia deve affrontare anche un ulteriore squilibrio, ovvero una distribuzione delle risorse poco selettiva e soprattutto poco attenta ai bisogni delle fasce più deboli. Nel 2012, rispetto alla totalità dei beneficiari delle prestazioni monetarie, solo il 43 per cento apparteneva al 20 per cento più povero della popolazione, mentre negli altri paesi questo valore supera il 50 per cento e in Svezia e in Belgio addirittura il 60 per cento. La stessa situazione si registra per i servizi domiciliari, dove sia l’intensità che il tasso di copertura crescono al crescere del reddito familiare, al punto che nel 2007 solo il 10 per cento della popolazione con redditi bassi riceveva cure domiciliari formali, mentre la percentuale sale al 30 per cento per i redditi più elevati.
L’analisi di Luppi non evidenzia invece particolari differenze per quanto riguarda l’intensità dei servizi domiciliari in relazione alla variazione del grado di non autosufficienza dei beneficiari. «Nei paesi analizzati l’intensità dei servizi ricevuti tende ad aumentare al crescere del livello di non autosufficienza – scrive – L’analisi conferma però un dato noto: la differenza in termini di copertura dei servzi domiciliari tra i paesi appartenenti all’area mediterranea rispetto ai paesi dell’Europa centrale o del Nord».
In Italia e Spagna, rispettivamente il 18 e il 20 per cento degli anziani con problemi legati alla non autosufficienza riceve servizi di cura domiciliari formali, mentre in Francia e Belgio la percentuale sale ben oltre il 50 per cento. Rispetto ai trasferimenti monetari, i dati evidenziano che in Italia e in Spagna l’importo medio ricevuto da beneficiari con livelli di disabilità medio/grave è rispettivamente del 20 e del 30 per cento maggiore rispetto a coloro che hanno una disabilità moderata. In Francia, Belgio e Svezia questa differenza sale al 40-50 per cento. «Questi dati indicano, in modo specifico in relazione al caso italiano, che l’assenza di una proporzionalità dell’importo delle prestazioni monetarie, come l’indennità di accompagnamento, ha come possibile rischio l’assenza di una adeguata corrispondenza tra necessità di cura del beneficiario e importo ricevuto».