«Non si tratta sui diritti dei disabili»

In queste settimane le cronache dei quotidiani si sono riempite di fatti che lasciano l’amaro in bocca a quanti si occupano di integrazione di persone con disabilità. Il presidente nazionale di Anffas Roberto Speziale, nel commentare la situazione, non usa sfumature: «I primi ostacoli da superare, quando si parla di disabilità e di integrazione, sono ignoranza e indifferenza».

«Non si tratta sui diritti dei disabili»

A Genova, un 27enne down di origine ecuadoriana è stato aggredito su un autobus.
Nell’indifferenza totale dei passeggeri l’autista Morena Baldini è corsa a soccorrerlo mentre veniva trascinato e preso a pugni da un uomo altro un metro e novanta. Pare che l’uomo, un cinquantenne, fosse infastidito dal fatto che il giovane canticchiasse la canzone che stava ascoltando con le cuffiette.

A Ferrara una mamma ha ritirato dall’asilo nido la sua bambina di 10 mesi a causa della presenza di un’ausiliaria con sindrome di down, 37enne e con una decennale esperienza in ambito scolastico.
Per finire questa vergognosa carrellata, una notizia che arriva da oltralpe: il tristemente noto Charlie Hebdo ha pubblicato una vignetta che utilizza la Trisomia 21 (questo il nome “tecnico” della sindrome di Down) come un insulto. Certo, il giornale ci ha abituati alle provocazioni più spregiudicate. Ma che se la prendano con chi, nella società, è “debole” e bisognoso di attenzioni di certo ridere non fa.

Fortunatamente non c’è solo chi, nei confronti dei down (ma della disabilità in generale) ragiona con una mentalità da anni Venti.
C’è anche chi su queste persone ha uno sguardo... 2.0. È dei giorni scorsi la notizia della nuova applicazione per aiutare le persone con sindrome di Down che lavorano in hotel a essere autonome nel lavoro ricordandogli gli impegni. Ogni hotel potrà personalizzare l’app in relazione all’organizzazione del lavoro, come i diversi tipi di apparecchiatura o i modi di riordinare le stanze.

«Qualche tempo fa un giovane down straniero si è visto rifiutare dalle istituzioni la cittadinanza italiana, perché ritenuto non consapevole all’atto del giuramento. Credo che questo sia un episodio emblematico: i primi ostacoli da superare, quando si parla di disabilità e di integrazione, sono ignoranza e indifferenza». Non usa sfumature il presidente nazionale di Anffas Roberto Speziale.

La variabile stranieri incide in maniera sensibile anche nel vostro settore?
«La loro percentuale comincia a diventare significativa, in alcuni nostri centri arriva anche al 50 per cento. Noi riteniamo che nessuna discriminazione sia possibile di fronte alla disabilità, soprattutto quando riguarda bambini e ragazzi. Confidiamo che il decreto sulla cittadinanza attualmente in discussione alla Camera vada in questo senso».

In un periodo difficile come questo, riuscite a mantenere le posizioni?
«Nel nostro campo, tutto quello che s’intende semplicemente mantenere in realtà degrada: ora siamo di fronte a un forte arretramento nell’esigibilità dei diritti. Nel passato sono stati azzerati fondi nazionali (ricostituiti in parte nel 2013) quando si è ritenuto non più opportuno investire nel welfare ai livelli precedenti, sposando invece il modello della globalizzazione e del libero mercato».

Il quadro è fosco in tutta Italia?
«No, c’è un’enorme differenza territoriale. Nonostante i tagli del governo centrale, molte regioni hanno fatto scelte oculate mantenendo i servizi in essere, ma ora anche Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana fanno fatica. Le diversità non sono solo tra Nord e Sud: pure tra litorale tirrenico e adriatico, nella stessa regione e tra aziende sanitarie della stessa provincia».

Com’è la situazione a scuola?
«Da più parti si lamentano carenze degli insegnanti di sostegno, che sono 117 mila in servizio: il numero complessivo è quasi adeguato, è il sistema di attribuzione che non funziona. Anche perché lo stesso è strutturato per posti di lavoro e per servizi, non ha al centro le persone con disabilità a cui lo stato deve garantire un’adeguata qualità di vita tra i banchi».

L’Italia rimane comunque all’avanguardia a livello mondiale...
«L’Anffas è nata 57 anni fa: a quel tempo c’era il deserto o quasi, la segregazione era all’ordine del giorno. I passi avanti da allora sono stati enormi, fino a soglie d’eccellenza. Uno studio recente definisce la nostra legislazione nel settore scolastico una delle migliori in assoluto. C’è una rete (enti, terzo settore, famiglie...) pronta a dare risposte. 30 mila persone le trovano ogni giorno nei centri Anffas, luoghi non solo belli e ordinati ma dove c’è sempre un’attenzione positiva».

Anffas continua a riscuotere la fiducia di molti, a giudicare dal cinque per mille.
«L’associazione è stata premiata da 80 mila scelte a livello nazionale, oltre cinque volte il numero dei soci. Non spendiamo un euro in pubblicità, tutto il ricavato va alle attività».

Bisogna fare i conti con le risorse?
«No, dobbiamo fare i conti con i diritti, che per le persone con disabilità non sono trattabili. Le famiglie hanno il diritto di sperare per loro una vita migliore. La parola d’ordine sia: socializzazione della solidarietà».

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