La morte di Liu Xiaobo e le ambiguità dell'Occidente nei confronti della Cina
L'Occidente dovrà dire da che parte sta, prima o poi. I diritti umani, nelle discussioni internazionali, negli ultimi tempi hanno perso sempre più peso a favore di stabilità economica e sicurezza. La morte del dissidente cinese Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace nel 2010, al quale è stata negata la possibilità di curarsi all’estero per Ai Weiwei, artista dissidente e amico di Xiaobo, «segna la fine di qualsiasi speranza».
Liu Xiaobo, il dissidente cinese insignito del premio Nobel per la Pace nel 2010 e in carcere dal 2009, da tempo malato di cancro al fegato, è morto in ospedale a 61 anni. Xiaobo è stato il primo firmatario di “Charta 08”, un manifesto politico cui hanno aderito 330 intellettuali cinesi, che proponeva una serie di riforme per una trasformazione democratica del Paese e per questo era stato accusato di «incitamento alla sovversione dei poteri dello Stato».
Prigioniero, Liu Xiaobo non potè recarsi a Oslo per ritirare il premio e l’immagine della sedia vuota che avrebbe dovuto occupare resta un monito, come le sue parole di speranza: «Credo fermamente che l’ascesa politica della Cina non si fermerà e, pieno di ottimismo, attendo con impazienza l’avvento di una Cina libera».
«È stato un uomo che nonostante tutto quello che ha sofferto, ha continuato ad abbracciare la politica della pace. Era e continuerà ad essere un’ispirazione per i difensori dei diritti umani in tutto il mondo», ha dichiarato alla notizia della sua morte Elizabeth Throssell dell’Ufficio dell’ONU a Ginevra, mentre l’artista e dissidente cinese Ai Weiwei, amico di Xiaobo, ha commentato: «La Cina ha mostrato al mondo quanto è brutale questa società. Credo che la morte di Xiaobo abbia chiuso una porta, la porta verso una società civile. Per molti questo evento segna la fine di qualsiasi speranza».
Anche il Comitato per il premio Nobel ha parlato di «responsabilità della Cina» per la morte prematura di Xiaobo: «Riteniamo davvero grave che prima di diventare malato terminale Liu Xiaobo non sia stato trasferito in una struttura dove avrebbe potuto ricevere cure mediche adeguate» ha commentato Reiss-Andersen presidente del comitato che nel 2010 gli aveva attribuito il riconoscimento.
Nessuno però pare volersi scontrare con la super potenza che ha appena presentato un faraonico programma strategico di investimenti strutturali – “la nuova via della seta” – con cui il Presidente Xi Jinping intende affermare una nuova leadership geopolitica planetaria e il portavoce del ministero degli Esteri cinese Geng Shuang, commentando in conferenza stampa la morte del dissidente, ha affermato che
il premio Nobel per la Pace è stato assegnato a Liu Xiaobo «contro i principi e in modo blasfemo rispetto al premio stesso» ricordando che il premio dovrebbe essere assegnato a chi promuove la pace mentre Liu era stato condannato a undici anni di carcere per sovversione.
Geng ha informato che il governo ha presentato protesta formale contro tutti quei paesi che «hanno espresso commenti inappropriati» sulla vicenda: «Stati Uniti, Germania, l'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati e altri». Anche sul caso di Liu Xia, la moglie del dissidente che a sua volta si trova agli arresti domiciliari, il portavoce ha ribadito l'invito a non interferire nelle vicende interne della Cina.
Commentando con la stampa la morte di Liu Xiaobo, il direttore di China Studies e docente della John Hopkins di Washington David Lampton ha dichiarato:
«L'Occidente dovrà dire da che parte sta, prima o poi. È evidente che negli ultimi tempi i diritti umani, nelle discussioni internazionali, hanno perso sempre più peso a favore di stabilità economica e sicurezza».
Che in Cina vi sia un deficit di democrazia viene ribadito nel rapporto annuale 2016/17 redatto da Amnesty international nel quale l’Ong spiega che «il governo cinese ha continuato a redigere e mettere in atto una serie di nuove leggi sulla sicurezza nazionale che hanno rappresentato gravi minacce alla protezione dei diritti umani. Per tutto l’anno è proseguito il giro di vite a livello nazionale su avvocati e attivisti per i diritti umani. Difensori dei diritti umani e attivisti hanno continuato a essere sistematicamente sottoposti a sorveglianza, molestie, intimidazioni, arresti e detenzione. La polizia ha trattenuto un crescente numero di difensori dei diritti umani al di fuori delle strutture di detenzione ufficiali, a volte senza accesso a un avvocato per lunghi periodi, esponendoli al rischio di tortura e altri maltrattamenti. Librai, editori, attivisti e un giornalista che erano scomparsi in paesi vicini nel 2015, nel 2016 sono ricomparsi in detenzione in Cina, suscitando preoccupazioni sulle operazioni da parte delle agenzie di sicurezza cinesi al di fuori della loro giurisdizione. Sono stati significativamente rafforzati i controlli su Internet, sui mezzi di comunicazione di massa e sul mondo accademico. È aumentata la repressione delle attività religiose fuori dal controllo diretto dello stato».
Il mese scorso l’ambasciatore della Repubblica Federale tedesca in Cina, Michael Clauss, ha pubblicato sul sito ufficiale dell’ambasciata una inconsueta nota di protesta nei confronti del governo cinese per le dure persecuzioni che sta attuando da tempo nei confronti del vescovo Mons. Pietro Shao Zumin, racconta l’agenzia Asianews, sottolineando come sia in atto la crisi del ruolo della tutela delle libertà della persona e della democrazia nei rapporti internazionali «e questo è un punto su cui le cancellerie europee in particolare sono latitanti, nonostante le migliori dichiarazioni di buona volontà».