"Islam e politica", quel controverso rapporto che agita il mondo
Il professor Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento, è uno dei maggiori esperti italiani del mondo musulmano, soprattutto arabo. In questi giorni è uscita una nuova edizione, la terza, di un suo fortunato libro dal titolo “Islam e Politica”. Uno strumento prezioso per comprendere l’immagine dell’Islam, il rapporto tra politica e religione nel mondo musulmano, la dialettica tra Islam e modernità.
Professor Campanini, perché una nuova edizione del suo libro?
«Il volume è arrivato alla terza edizione; dalla prima, che risale al 1999, sono passati 16 anni, un tempo pieno di avvenimenti anche molto pesanti per la storia dell'Islam e non solo. Molte cose sono cambiate, sono aumentati gli atteggiamenti di timore. Nel riscrivere il libro sono stati quindi modificati significativamente alcuni aspetti. Tuttavia i quattro temi in cui avevo articolato la mia riflessione del 1999 (il problema della teocrazia, quello dell'utopia, la concezione dello Stato e infine la questione dell'Islam politico) sono ancora determinanti per delineare l'immagine dell'Islam».
Cominciamo dalla teocrazia. I mezzi di comunicazione ci parlano spesso di “regimi teocratici”, riferendosi ad alcuni paesi islamici. È corretta questa dizione?
«Bisognerebbe definire bene la parola teocrazia che significa “potere di Dio”. In realtà, nell’Islam, Dio non esercita il potere in prima persona. Quello che potrebbe essere il potere di Dio viene esercitato da alcune categorie specifiche. Per avere teocrazia ci vuole un clero. Ha senso se c'è un'istituzione ecclesiastica. Nell’Islam questo non esiste, perché non c'è clero. Esiste una distinzione tra sciiti e sunniti, ma in generale però si può dire che nell'Islam non esiste un clero, non esiste una gerarchia piramidale di autorità».
Qual è stato allora il rapporto tra religione e politica?
«Nel corso della storia islamica si è data una strumentalizzazione del politico sul religioso, non viceversa. I califfi islamici si sono legittimati attraverso la religione. In realtà l'autorità civile e quella religiosa hanno camminato parallelamente sostenendosi a vicenda. Parallelismo non subordinazione. Attraverso la religione il potere politico ha cercato di autolegittimarsi. Pertanto non possiamo parlare di teocrazia ma di cesaropapismo. Nelle realtà contemporanee abbiamo subito un processo di trasformazione, ma i termini del problema rimangono inalterati».
Il secondo tema è quello dell’utopia. Che rapporto ha la tradizione musulmana con il passato?
«È radicata l'idea che ci sia stato nel passato un luogo e un tempo in cui si è realizzata l'età dell'oro. L'isola dell'utopia è l'isola che non c'è, quella di Peter Pan. Nell’Islam invece succede il contrario, abbiamo un luogo e un tempo reali, ben definiti. Per i sunniti è quello dei primi califfi “ben guidati”. Gli sciiti diranno invece che solo uno era degno di divenire califfo. La sostanza non muta: quella era l'età dell'oro. Così si configura una situazione in cui per costruire il futuro bisogna guardare al passato».
Con quali conseguenze?
«La prima è quella del tempo che viene distorto. Se esiste una continuità che in un certo modo avanza, questo movimento è, per così dire, “a spirale”, cioè che cammina riprendendo se stesso. Così si ha la visione di una grande stabilità, al contrario della visione occidentale per cui "tutto cambia sempre".
In secondo luogo, se noi guardiamo indietro per progettare il futuro, significa che noi vogliamo riprodurre il futuro secondo uno schema prestabilito. I sunniti sostengono che bisogna fare esattamente come quando c'era il profeta. L'idea oggi in auge presso le correnti più diffuse è che dai tempi del profeta ad oggi la storia è stata un continuo decadimento: noi pensiamo invece che la storia sia un continuo progresso».
Con la nascita dell’Isis, ma forse dalla rivoluzione islamica dell’Iran in poi, è tornata alla ribalta l’idea di costruire un perfetto “Stato islamico”. Cosa ci può dire in merito?
«Il concetto di Stato islamico è un concetto moderno. Il sintagma non esiste nei testi classici, mentre lo ritroviamo in quelli moderni. Lo Stato islamico vero e proprio può essere solo il califfato, in cui il califfo guida di tutti i musulmani, applica la legge di Dio. In realtà stati che abbiano applicato la legge di Dio è ben difficile trovarne. Forse all'epoca del profeta? Storicamente lo Stato islamico non è mai esistito. C'è stato il califfato. Si sono avvicendati modelli islamici di Stato. Sono modelli di gestione della Stato che si ispirano all'Islam nel momento in cui lo stato islamico non c'è più. Al posto dello Stato islamico (califfato), si deve cercare in ogni modo di governare, nascono perciò questo modelli. Ma difficilmente questi modelli applicano la legge di Dio. Nella storia dell'Islam si è dato uno Stato utopico che è quello del profeta, poi lo Stato dei califfi e infine un modello di Stato che si basa su una dottrina politica. Questo paradigma consente una visione razionale della storia dell'Islam fino all'età contemporanea. Anche lo Stato fondato da Khomeini in Iran nel 1979 trova i suoi modelli nella riflessione moderna; è anche un prodotto della modernità».
In tempi recenti, dopo il colonialismo, il rapporto tra l’Islam e la modernità è diventato più tormentato. Per questo è nato “l’Islam politico”?
«Si è cercato di islamizzare la modernità, alla luce dello sguardo utopico retrospettivo. Ciò ha portato al tentativo di governare il moderno alla luce dell’Islam. Un Islam che non è mai stato politico, diviene ora tale. Lo sciismo, per secoli quietista, accettando il governo islamista, ora si ribella fino ad arrivare alla rivoluzione. Lo stesso succede con il sunnismo e si allarga fino al jihadismo. Il radicalismo islamico o l'islamismo politico, o qualunque nome gli si vuole dare è determinato da un qualcosa di reale, concreto, sviluppato nella società. Noi abbiamo l’idea che l’Islam politico sia irrazionale e medioevale, una visione di un gruppo di pazzi fanatici. È un'immagine del tutto sbagliata, perché non è un modello del passato, ma è un fenomeno del moderno, dovuto alla globalizzazione».