Papa Francesco: dal Sud del mondo il «no» all'esclusione
Francesco sottolinea l'urgenza di un cambiamento perché, dice «il tempo sembra sia giunto al termine». Questo sistema non regge più e ci sono cose che non vanno nel pianeta: contadini senza terra, famiglie senza casa, lavoratori senza diritti, persone ferite nella loro dignità, bambini sfruttati, guerre insensate, violenze fratricide. A tutti propone la semplicità e la gioia del Vangelo
Scelti per essere inviati. Si potrebbe titolare così il passo del vangelo di Marco di questa domenica: «Gesù chiamò i dodici e incominciò a mandarli a due a due». Così come siamo sorpresi quando, aprendo una pagina dei vangeli, troviamo un riferimento utile per superare il momento di incertezza in cui siamo, possiamo dire lo stesso per come queste parole si armonizzino con il viaggio di papa Francesco in America Latina.
Cosa sono stati tutti i suoi discorsi, quelli scritti e le parole uscite dal suo cuore e non segnate nei fogli, se non un invito ai credenti, ma anche alle donne e agli uomini del continente, a uscire dal proprio guscio per andare incontro agli altri, per costruire, nel bene comune, il futuro del continente? La sfida che Francesco propone è quella di tornare alla radicalità e alla semplicità del Vangelo, di offrire gesti di misericordia e di gioia a tutti, specialmente alle persone abbandonate, in difficoltà; a quanti sono feriti nella loro dignità, o si trovano in situazione di povertà. Visita tre paesi il papa - Ecuador, Bolivia e Paraguay - che possiamo considerare tre periferie del continente latinoamericano. Tre nazioni attorno all’Amazzonia, il grande polmone verde ferito dalla mano dell’uomo, e che papa Bergoglio difende nella sua enciclica Laudato si’, così come chiede, in Bolivia, di fermare l’aggressione e di rispettare i diritti delle popolazioni indigene che vivono nella foresta.
Mons. Erwin Krautler è il vescovo della prelatura di Xingu, Amazzonia brasiliana, una diocesi più estesa dell’Italia. Ci dice: «Il nostro popolo è in condizioni di vivere se sta nella propria terra; se sono espulsi sia gli indios sia i campesinos, è quasi impossibile che possano sopravvivere. Arrivati in città vanno ad abitare in una baraccopoli. Ma non vivono, vegetano». Si aspetta molto dalla visita del papa, perché la lotta per la terra «è urgente»; la terra «è un diritto non un’elemosina. Diritto che è negato a causa di un’idea di sviluppo che non è del nostro popolo».
Uno sviluppo che emargina, dice papa Francesco, incontrando a Santa Cruz della Sierra i partecipanti al secondo incontro dei Movimenti popolari, il primo si è tenuto in Vaticano. Francesco lancia un messaggio al continente, al Nord come al Sud, alla vigilia del viaggio che in settembre lo porterà prima a parlare al Congresso degli Stati Uniti a Washington, e poi ai rappresentanti delle nazioni al Palazzo di vetro dell’Onu, a New York. Chiede, il papa, che si mettano da parte gli interessi personali, i tentativi di scartare una parte della popolazione. Sottolinea l’urgenza di un cambiamento perché, dice, «il tempo sembra sia giunto al termine». Questo sistema non regge più e ci sono cose che non vanno nel pianeta: contadini senza terra, famiglie senza casa, lavoratori senza diritti, persone ferite nella loro dignità, bambini sfruttati, guerre insensate, violenze fratricide.
C’è un sistema globale che ha imposto la logica del profitto a ogni costo. Francesco si fa voce dei poveri e dei popoli del mondo, degli esclusi. È l’ambizione del denaro - lo sterco del diavolo - che domina. Invece è la globalizzazione della speranza che deve sostituire la globalizzazione dell’indifferenza. Dice «no» papa Francesco al colonialismo vecchio e nuovo «che riduce i paesi poveri a semplici fornitori di materie prime e manodopera a basso costo»; tutto questo genera «violenza, povertà, migrazioni forzate e tutti i mali che abbiamo sotto i nostri occhi». Mettendo la periferia in funzione del centro «le si nega il diritto a uno sviluppo integrale: è iniquità che genera violenza che nessuna polizia, militari o servizi segreti sono in grado di fermare».
Così ai rappresentanti della società civile ad Asuncion, in Paraguay, il papa sottolinea la necessità che fraternità, giustizia e pace siano parole concrete, perché la società deve essere inclusiva, non deve escludere nessuno. Il Paraguay è il paese delle reduciones dei gesuiti e un papa figlio della Compagnia di Gesù non poteva non ricordare l’esperienza positiva di questo esperimento stroncato nel 1767 dall’egoismo di alcune monarchie del vecchio continente. In queste realtà il vangelo era l’anima e la vita delle comunità, dove non c’era fame, disoccupazione, analfabetismo, oppressione. Se è stato possibile allora, perché non oggi? Per Papa Francesco è quanto mai necessario accogliere il grido dei poveri perché nessuno sia escluso.
La cosa peggiore per Bergoglio è che qualcuno uscendo dall’incontro possa non capire che le cose dette riguardavano tutti, anche lui.