V Domenica di Pasqua *Domenica 3 maggio 2015
Giovanni 15, 1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
La vite
Non è una pianta qualsiasi: dice di un’alleanza tra l’uomo e la terra, un patto che richiede sapienza e tempo. Per il suo valore, la vigna andava seguita e protetta con cura. E il Cantico dei cantici vi colloca l’estasi dell’amore: «Io sono del mio amato e il suo desiderio è verso di me. Vieni, amato mio, andiamo nei campi, passiamo la notte nei villaggi. Di buon mattino andremo nelle vigne; vedremo se germoglia la vite, se le gemme si schiudono, se fioriscono i melograni: là ti darò il mio amore!» (7,12-14). Questo discorso di Gesù collochiamolo sullo sfondo del Cantico dei cantici, per cogliervi le qualità dell’amore: dolcezza e trasporto, gioia e sacrificio, fecondità e comunione. La vite è il luogo segreto e inebriante della comunione amorosa con il Signore, in cui prima di tutto ci si trova sopraffatti dall’amore che egli riversa. Il nostro sarà sempre un goffo tentativo di corrispondere. I sacramenti, specie l’eucaristia, sono in modo del tutto speciale questo “vigneto”.
Rimanere
Verbo che ritorna come un ritornello in questo annuncio con cui Gesù si presenta in relazione a noi. A differenza di certo parlare in cui ci si mette al centro (narcisismo... quanta gente “si parla addosso”), qui Gesù si descrive per aprirci gli occhi su quel che siamo. Come suoi discepoli nulla siamo se non restiamo in comunione con Lui. Piace poco oggi il verbo rimanere: si amano piuttosto la novità, la velocità, la pluralità delle scelte, il rimettere in questione. Eppure, come nell’ambito sportivo, rimanere è qualcosa di intensamente dinamico, come quando ci si allena – anche con sacrifici – per rimanere in forma. Io come discepolo sto sempre in questo dinamismo: rimanere nella forma di Cristo. E questo esige che lasci tagliar via ciò che è contrario alla vita in Lui; e c’è pure la seconda potatura, quando siamo sulla strada del bene, in modo da nulla anteporre all’amore di Cristo, come ripeteva san Benedetto. Quante potature ha affrontato nella sua vita san Paolo, di cui oggi la prima lettura ci dice: «Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo»; era a Gerusalemme perché precedentemente a Damasco avevano tentato di toglierlo di mezzo (come si esprime crudamente il greco degli Atti degli apostoli). Vita dura quella del suo apostolato, ma per portare frutto nel Signore.
In
Regge il brano la semplice preposizione “in” che completa e determina il verbo rimanere: a noi cui capita di subire o operare divisione e scontro, di non riuscire a creare incontro ed autentico dialogo questa preposizione ricorda che siamo esseri di relazione, chiamati alla comunione. Oggi abbiamo straordinarie possibilità di stare connessi con ogni angolo del mondo, i mezzi di comunicazione di massa danno splendide opportunità ma... ciò non si traduce sempre e facilmente in vera comunione, in vicinanza reale con l’altro. In Gesù, vera vite, i tralci sono uniti e connessi tra loro! È il mistero della chiesa: persone che non si sono scelte per affinità elettive, per amicizia, ma chiamate e convocate dallo Spirito.
Frutto
Gesù chiede e rende capaci di portare frutti di vita nuova, dove lo sguardo dell’uomo “vecchio”, l’uomo secondo la carne, non può arrivare. Stare in una relazione ricca di fede ed amore con Gesù, nella concretezza: «Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità!», esorta la seconda lettura. Si tratta di stare, di rimanere nelle situazioni, uniti a Lui, senza fughe depressive o reattive. Scorre davanti alla mia memoria di pastore chi ha perdonato un tradimento coniugale, senza irrigidirsi nel vittimismo né nella rabbia; chi accudisce con pazienza tenacissima e sorriso sulle labbra un genitore anziano, piagato dall’Alzheimer. E questo nel nome e nella grazia del Signore Gesù, portati dal soffio potente del suo Spirito: è Dio stesso che opera. Non si tratta di fare la gara per scoprire quanto buoni ed eroici siamo, ma di lasciar fare alla potenza di Dio in noi.
«Ti mando le foto della casa per i campiscuola via Whatsapp, appena arriviamo su. Così vedi se va bene...». «Ma come? Non hai Whatsapp? Vabbè ti manderò degli mms... Neanche quello c’hai!? Ma dove vivi!». Ai nostri giorni è quasi un peccato (veniale, spero) quello di non essere al passo con le più recenti modalità comunicative. L’essere sempre connessi, on-line, è una realtà oggi incoraggiata (ma faticosa, aggiungerei) che a noi credenti deve far pensare a quella comunione di grazia divina che ci è sempre possibile, a patto che lo vogliamo, che cooperiamo. Nessun cellulare, infatti, può comunicare se resta spento o in modalità “aereo”, per quanto potente sia il segnale. Non mettiamo in dubbio il segnale e la rete d’amore che il Signore nello Spirito hanno posto in essere! Verifichiamo piuttosto se siamo consapevoli di questo dono, se facciamo quanto dobbiamo per restare, per rimanere in Lui. Come si vive in questa comunione? Abbiamo il dono straordinario dei sacramenti, Spirito santo che ci cristifica; siamo nella chiesa radunata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; pronunciamo il sì della fede e testimoniamo amore al prossimo nel suo nome. In sintesi, con la seconda lettura: «Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri».