Santissimo corpo e sangue di Cristo *Domenica 22 giugno 2014
Giovanni 6, 51-58
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Non morire
«Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno»: certezza affidata a questo tempo in cui è molto forte l’impegno per allungare il più possibile la vita e per allontanare, quindi, la morte. Quante cose si sentono sull’importanza di alimentarsi bene per avere più anni di vita; quante ricerche e investimenti si fanno per alzare l’età media! Comprensibile, se non fosse che per alcuni si tratta di un surrogato di eternità, della sua versione secolarizzata. Ritorna alla mente la parola del serpente, la più astuta delle bestie, in risposta a Eva che sa di non dover mangiare dell’albero che sta in mezzo al giardino: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Contro la morte si gioca una lotta senza quartiere, quasi fosse l’avversaria totale della vita: per il credente che si ciba dell’amore del Signore Gesù la morte è una soglia, una porta che si spalanca sull’amore di Dio. Non terrorizza. Può sembrare uno slogan: la questione non è di morire il più tardi possibile quanto di vivere il più veramente possibile. Vivere veramente, non tirare avanti; osare l’amore e non lasciarsi andare a mezze misure: partecipare sacramentalmente alla vita donata di Gesù ha questo respiro grande.
Ostensorio
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui»: cosa significa questa reciproca inabitazione? «L’ostensorio è un vaso sacro usato per l’esposizione solenne del Santissimo Sacramento, durante l’adorazione eucaristica e la benedizione eucaristica. Il termine ostensorio deriva dal latino ostendere, che significa mostrare». Maria è stato il primo vivente ostensorio del Figlio di Dio (l’ha mostrato ai magi, ai pastori; l’ha offerto al tempio) e noi come chiesa siamo chiamati a questo: vivere amando come Egli ci ha amati in modo da essere ostensori viventi in cammino nel mondo. «Colui che mangia me vivrà per me»: ricevendo di domenica in domenica l’eucaristia ci s-possessiamo di noi per lasciarci possedere e guidare dall’amore di Dio. San Francesco anelava a offrire la sua vita come ostia vivente per l’annuncio del vangelo. Non basta quindi portare in processione nostro Signore se egli non viene al contempo mostrato – con tutta umiltà, senza ostentazione né presunzione – nella testimonianza di una fede che desidera salvezza per tutti, nessuno escluso. Partecipando alla vita sacramentale della chiesa, ricevendo i doni della grazia divina, diventiamo noi pane spezzato per il bene del mondo.
Oggi è il futuro
La vita piena, senza limiti (non solo quelli di tempo), inizia già qui e ora perché così assicura Gesù, utilizzando il verbo al presente: «Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna». Un credente non può vivere proteso al futuro, perché il futuro non gli appartiene, è fuori portata; ha il respiro corto il bene fatto in vista di una ipotetica ricompensa futura. Gesù ci ha insegnato che chi si affida totalmente inizia già ora, già qui a sperimentare la sovrabbondante ricchezza del Regno: «Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà». Certamente questo è un inizio, un germoglio di eternità, a cui Dio stesso darà compimento, in modo per noi misterioso, quando il suo Figlio ci resusciterà nell’ultimo giorno. Posso e devo avere coscienza che nel mio oggi, visitato dalla grazia di Dio, c’è il seme del futuro: il pane eucaristico è pane che profuma di immortalità.
Alimenti adulterati
Abbiamo sviluppato una marcata sensibilità per la qualità dei cibi con cui ci nutriamo: sempre più la scienza ci mette a disposizione informazioni che associano la salute alla corretta alimentazione e, d’altra parte, la cronaca nera ci mette sul chi va là riguardo alle frodi alimentari. Nella sinagoga di Cafarnao, dov’è ambientato il vangelo, Gesù sottolinea come la sua carne sia vero cibo e il suo sangue vera bevanda. E se ci sono un vero cibo e una vera bevanda, ve ne sono quindi di adulterati e perciò dannosi. In che cosa consistono questi falsi cibi? Riflettiamo sul meccanismo dell’idolatria: a causa della debolezza e insicurezza di fondo, si consegna la propria vita a qualcosa e/o qualcuno che finisce per risucchiare le proprie energie. Ad esempio, nutro la mia vita concentrandomi sul successo lavorativo che alla fine mi asservisce: famiglia, affetti e quant’altro sono subordinati a questo e ci si sente vivi e riconosciuti solo nella misura in cui il lavoro va bene. Quell’aspetto della vita, pure buono in sé, idolatricamente soppianta gli altri beni per cui vi si cerca quell’alimento che dà gusto e dovrebbe saziare la propria fame di senso. Chiaramente un’illusione che alla fine lascia spremuti.