Santissima Trinità *15 giugno 2014
Giovanni 3, 16-18
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».
Terra sacra
La Santissima Trinità non è una verità astratta su cui elucubrare, ma una realtà personale da incontrare, Amore da cui scoprirsi amati. E allora avvenga per ciascuno di noi quanto descritto nel libro dell’Esodo, sul monte: «Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò». Questo sia il nostro atteggiamento. Adoriamo e contempliamo perché toccati dal mistero che non è affatto qualcosa di oscuro e indecifrabile, piuttosto eccesso di luce e splendore traboccante. Vedendo le persone muoversi in chiesa e vivere la liturgia, seguendo qualche momento di condivisione sulla parola di Dio, si ha qualche volta l’immagine di scarsa consapevolezza del mistero di Dio. «Curvarsi e prostrarsi»: questa domenica consegna il gesto eloquente di Mosè, colui che si tolse i calzari davanti al roveto ardente, ammonito del fatto di calpestare suolo sacro (cfr Es 3,5). Parlar di Dio, celebrare il suo nome, lodare il suo amore sconfinato è appunto stare su terra sacra. Questo senso del mistero non allontana e separa perché ha la cifra di un amore che, umanamente parlando, spiazza completamente: Dio dona il Figlio, il suo unico Figlio. La Santissima Trinità non è quindi un rompicapo teologico ma storia d’amore.
Rivelazione
«Il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore» (prima lettura): Dio sta dappertutto, naturalmente, ma quel discendere e quel proclamare il proprio nome sottolineano il dono, libero e gratuito. Un dono da cui nessuno è escluso: chiunque può credere e allora perché non pochi oggi si professano agnostici e indifferenti? Sembra che a volte ci si fermi prima del credere e del non credere, si resti sospesi, come poco interessati e distratti da altro, tanto da non dare troppa importanza all’interrogativo. Eppure noi siamo figli per adozione e intimamente non possiamo che risuonare e vibrare alle parole e al gesto d’amore del Figlio per natura, Gesù. Tutti cercano amore e pienezza: modi e tempi di questa ricerca appartengono al segreto della coscienza e a Dio stesso. In quel «chiunque crede in lui», nel dono di Gesù per la salvezza e la vita piena del mondo sta il volto di un Dio che non usa mezze misure: umanamente sacrificare un figlio suona un’atrocità, anche se fosse per il bene del mondo intero. San Bernardo di Chiaravalle scrive: «La causa dell’amore di Dio è soltanto Dio; la misura, è di amare senza misura» (Causa diligendi Deum, Deus est; modus, sine modo diligere). Come Abramo in obbedienza totale a Dio sul monte era pronto a offrire il suo amatissimo figlio unigenito (cfr Genesi 22), così il Padre offre il Figlio unigenito. L’amore di Dio è più forte della durezza del nostro peccato, più caldo del freddo del nostro cuore, più profondo della superficialità del nostro ego.
Segno della croce
Sulla nostra fronte di battezzati è stato tracciato il segno della Trinità che entra dentro la storia umana con un amore incondizionato e smisurato. Il segno della croce che avvolge il nostro corpo celebra un Dio che conficca il suo amore – la croce – dentro lo scorrere tumultuoso del tempo, che in un sepolcro scavato in un giardino trova l’utero che ricrea ogni cosa. Questa solennità è certamente invito a celebrare il segno della croce con profonda consapevolezza di fede: il segno della croce è lode trinitaria e, al tempo stesso, ricordo dell’amore che ha cambiato la storia per sempre. Ispirati dai cristiani ortodossi, perché non tracciarlo tenendo uniti pollice, indice e medio quale richiamo esplicito alla Trinità? Quando i genitori fanno il segno della croce sulla fronte del loro piccolo, all’inizio del battesimo, manifestano l’impegno di amare come Dio stesso ama. E Dio ama dando il suo stesso Figlio, non trattenendolo a sé! Amare quindi è donare senza trattenere per sé chi si ama. Si può dire che ogni momento della vita dei genitori sia appunto imparare ad amare cedendo il passo, lasciando andare, decentrandosi, rinunciando all’impulso del controllo ossessivo e ossessionante. E allora un genitore abbraccia non per bloccare ma per inviare nel e al mondo; colma di attenzioni perché il figlio possa spiccare il suo volo; insegna a parlare non per sentirsi dire ciò che si aspetta ma per scoprire con stupore pensieri e parole di novità.
Soggetto plurale, verbo singolare
«La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito santo sia con tutti voi»: perché in questo saluto introduttivo della messa si coniuga il verbo al singolare con soggetto plurale? Non sarebbe più appropriato il verbo al plurale? Da notare che il passo della seconda lettera ai Corinti, da cui è attinto questo saluto, sceglie il plurale. All’inizio del memoriale della passione, morte e risurrezione di Cristo, lanciamo uno sguardo al mistero di un amore che non annulla le differenze. Ecco la Santissima Trinità: un solo Dio in tre persone, uguali e distinte. Nella Santissima Trinità c’è la persona che ama, il Padre; la persona che è tutta un essere amata, il Figlio; e la persona che è l’amore stesso, lo Spirito. Comunione nella diversità, in Dio e anche là dove si ama, ad esempio nella coppia. Al percorso per il matrimonio cristiano Giulia e Dario si presentano annunciando che non litigano mai perché la pensano sempre allo stesso modo. Sboccia una domanda: davvero è così? Avere punti di vista diversi non è forse arricchente? Anche qui, la chiamata è alla comunione nella e dalla diversità.