La vita al tempo dei Pokemon e della società “sempre connessa”
Prima scena.
Un giardino con un ragazzino di dieci anni che con il suo smartphone (telefonino) si muove affannosamente alla caccia di chissà che. La mia domanda che seguì, fu: «Cerchi qualcosa?». La madre a distanza risponde: «Tranquillo, sta solo cercando di catturare un Pokemon…».
La notizia di qualche ora prima, in coda a un telegiornale, era stata: «Tutta New York impazzita per la Pokemon mania» e le immagini mostravano centinaia di persone che si spostavano in massa col loro telefonino in mano, obbedendo all’app (applicazione) del gioco del momento. Per i più, forse, un modo per distrarsi.
Per qualcuno come me – forse di un altro mondo – l’esempio perfetto di realtà virtuale che sta ormai diventando realtà di massa. Nessun allarmismo, per carità. Nessun rimprovero ai genitori. E tantomeno, nessuna obiezione a quegli adulti che sebbene ormai cresciuti, gli basta un’app nel cellulare per tornare – forse – ai tempi di quando erano giovani, e pazienza se li si vede poi girare come automi in cerca del Pokemon dei Pokemon, a cui manca solo una “a” finale...
Seconda scena.
«Vado. Parto. Mollo tutto. Vacanze arrivo…», lo stanno scrivendo un po’ dovunque in questo periodo nei social: dagli sms ai post di Facebook. È tempo di vacanze. Agognato per chi si troverà poi imbottigliato nell’immancabile traffico da grande esodo. Invocato da chi sente il desiderio di “staccare la spina”. Ma si sa, una radio senza spina non emette suoni. Una lampadina senza elettricità, non s’illumina. È possibile pensare cosa produca una parola, se questa non è collegata alla mente.
La chiamano “connessione”, ed è tra le parole più usate e abusate nelle località “dei desideri": dal mare alla montagna. Sempre e dovunque connessi. Quindi, il tormentone tra l’essere “scollegati” perché ci si trova in ferie e il restare comunque collegati dalle ferie, è assicurato anche per quest’anno.
Nel dubbio, rispondetevi: cos’è più finzione, la quotidianità o quello che ci aspettiamo dall’essere finalmente in vacanza?
Terza scena.
Ufficio postale del mio paese. Entro e trovo una donna che non vedevo da parecchio tempo. Saluti e convenevoli e poi: «Son sempre di fretta! Non ho più tempo per niente…presa da tutto e tutti». Anche in questo caso, di quale realtà stiamo parlando? Quale qualità della vita vogliamo?
Neppure il tempo di rispondergli che il suo tempo sembra essere scaduto, passando già ai saluti finali. E dire che non ci si vedeva da anni, ma il tempo – evidentemente – è cosa relativa per ognuno. E non c’entrano qui il bon ton, il garbo e nemmeno la benedetta “buona educazione”.
In tutti questi esempi, la questione è viscerale e sostanziale. Ecco perché, dopo quattro secoli dalla morte, è ancora William Shakesperare a imbeccarci con l’amletico interrogativo di sempre: «To be, or not to be?». Essere o non essere, resta il nostro problema. A casa, in vacanza, come pure all’ufficio postale.