50 città, 120 iniziative per dire basta all'azzardo di stato
Il prossimo fine settimana in quasi 50 città il Movimento SlotMob organizza oltre 120 eventi per lanciare il suo “Manifesto di democrazia economica”, che chiede al governo e alla politica di affrontare seriamente la piaga del gioco d’azzardo, sottraendone i profitti ai gruppi multinazionali che oggi lo gestiscono.
A Padova lo SlotMob Fest è promosso da un gruppo di realtà tra cui anche Movimento dei focolari, e Comunità papa Giovanni XXIII. Due gli appuntamenti in città: sabato 7 alle 18 alla caffetteria in via Sorio 50b e alle 19 alla pizzeria Giuly in via Buonarroti all’Arcella.
Il fatto
I numeri sono drammatici
In Italia ci sono oltre mezzo milione di macchinette, un record mondiale, disseminate tra sale giochi, bar, ristoranti. Stampiamo un quinto dei “Gratta e vinci” di tutto il pianeta, nel 2015 abbiamo sperperato quasi 90 miliardi di euro inseguendo il sogno della grande vincita e il gioco via internet è la nuova frontiera incontrollabile dell’azzardo.
Secondo le statistiche più recenti, un italiano su 75 manifesta comportamenti patologici, che su scala veneta significa almeno 70 mila casi di ludopatia, una vera e propria malattia che si trasforma in tragedia per intere famiglie quando moneta dopo moneta le slot machine inghiottono stipendi, risparmi, speranze e futuro.
L'editoriale
Lo scorso mese il governo ha nominato i membri del nuovo Osservatorio per il contrasto dell’azzardo, composto da nove esperti che avranno un luogo elenco di problemi da affrontare e che si sono incontrati per la prima volta il 13 aprile.
A marzo, intanto, Lombardia, Liguria, Veneto e Basilicata hanno sottoscritto il primo documento nato in seno alle regioni italiane per chiedere al governo un cambio di passo.
Tanti segnali, compreso il manifesto promosso dal Movimento SlotMob, che indicano come in questi anni sia cresciuta l’attenzione per una deriva che sembra non conoscere ostacoli e che rappresenta oggi uno dei grandi (e ancora purtroppo sottovalutati) problemi della nostra società.
Eppure, ecco la grande contraddizione, quello stesso stato che calcola il numero di malati e studia come seguirli con i suoi servizi socio-sanitari, che nomina osservatori e limita gli spot televisivi nelle fasce protette, ha alimentato il fenomeno a colpi di aperture sempre più massicce.
Non solo, ma ammette sull’azzardo una tassazione bassissima, appena il 9 per cento, e interviene forte dei suoi poteri ogni qualvolta gli enti locali cercano quantomeno di tenere le macchinette a “distanza di sicurezza” da scuole, parrocchie, ospedali, centri sportivi.
Come spiegare questa schizofrenia? Escludendo per carità di patria l’idea della malafede, per cui ci si piega (o si condividono...) agli interessi economici dei potenti cercando al più di coprire il malaffare con qualche foglia di fico, mi pare che siano due i grandi temi che anche il proliferare dell’azzardo ci mette di fronte.
Il primo problema è squisitamente economico.
Quegli otto miliardi che lo stato incassa ogni anno sono pochi, ma sono comunque preziosi per finanze pubbliche sempre vicine al collasso. E così, pur di “tappare il buco” o mantenere qualche promessa elettorale, governi di ogni colore politico hanno accettato e accettano di mettere in pericolo il futuro di milioni di famiglie.
È un calcolo miope e cinico, simile a quello che ha guidato per decenni le politiche di devastazione urbanistica e ambientale del nostro paese: incassiamo oggi, e per far tornare i conti dimentichiamoci di mettere nel conto quel che un domani spenderemo per curare, risanare, bonificare: anime, e territori.
Il secondo tema attiene al ruolo che uno stato ritiene di dover esercitare.
Dietro la progressiva liberalizzazione del gioco d’azzardo c’è l’idea, più volte riproposta, che la legalizzazione sia la forma migliore di controllo dei fenomeni.
«L’azzardo clandestino c’è comunque, lo si voglia o no – ecco l’adagio – e allora è meglio che sia lo stato a controllare». Più o meno la tesi che periodicamente ricompare in tema di droga ma anche, in questi ultimi anni, ogni qualvolta c’è da affrontare uno dei temi “eticamente sensibili”, dall’eutanasia all’utero in affitto. In nome di una presunta libertà dell’individuo, fatta criterio assoluto senza tenere in alcun conto le ripercussioni che le scelte individuali hanno sul tessuto sociale.
Ora, potremmo chiederci, ma è davvero questo che desideriamo da uno stato?
Che alzi le mani di fronte all’ineluttabilità dei fenomeni, del “nuovo che avanza”? Che si limiti a certificare il diritto di ognuno a fare soldi (o a rovinarsi con le sue mani...) come meglio crede? Uno stato “neutrale” rispetto a ogni questione di valore, di senso, di prospettiva etica?
O non, piuttosto, uno stato che quando legifera sa che la norma non si limita a regolare l’esistente ma orienta, indirizza, è figlia di un’epoca storica e di una società ma sa indicarle al tempo stesso un orizzonte condiviso in cui possiamo ritrovarci come cittadini?
Noi non abbiamo perso la speranza che la politica sappia recuperare questa sua funzione alta, che è l’unica che possa davvero nobilitarla. Nel frattempo, c’è una responsabilità da recuperare anche come cittadini.
Gli SlotMob che da alcuni anni vengono organizzati in tanti locali italiani non sono la soluzione al problema, così come non lo sono le ordinanze dei comuni o gli sconti fatti agli esercenti che rinunciano alle slot machine.
Ma che tante persone si ritrovino per spendere i propri soldi in un bar che ha rinunciato alle slot machine, è un segnale forte che viene inviato a tutti noi, un invito a ricordarci che ciascuno di noi è di fronte a una scelta: è quella che esercitiamo ogni qualvolta scegliamo un prodotto invece di un altro, un locale invece di un altro, e lo facciamo a ragion veduta: per ragioni ambientali, etiche, sociali.
Essere consumatori attenti, consapevoli, informati è oggi la nuova frontiera della cittadinanza.
“Votare col portafoglio”, secondo una felice espressione, non è meno importante di andare a votare nelle urne. Anzi, nella misura in cui possiamo farlo ogni giorno, è la più grande arma di pressione che abbiamo per costruire spazi di economia sottratta alla logica predatoria del massimo profitto a ogni costo. E per indicare anche alla politica la strada della vera responsabilità.