Pasta e riso: etichette chiare per mangiare meglio
Chiarezza, e quindi informazioni semplici e comprensibili. In tutti i sensi, anche nelle modalità grafiche con le quali vengono trasmesse ai consumatori. Sono i principi di base dell’etichettatura dei prodotti alimentari il cui percorso, oggi e domani, compie un’altra tappa importante. Con quelle di pasta e riso, infatti, le etichette alimentari continuano a diffondersi, anche se ancora un quarto circa degli alimenti ne è privo
Parola d’ordine: chiarezza. E quindi informazioni semplici e comprensibili. In tutti i sensi, anche nelle modalità grafiche con le quali vengono trasmesse ai consumatori. Sono i principi di base dell’etichettatura dei prodotti alimentari il cui percorso, oggi e domani, compie un’altra tappa importante. Con quelle di pasta e riso, infatti, le etichette alimentari continuano a diffondersi, anche se ancora un quarto circa degli alimenti ne è privo.
Ma cosa deve contenere un’etichetta di un prodotto alimentare?
Sostanzialmente una serie di informazioni che permettano al consumatore di capire bene cosa sta mangiando. Oltre al nome del prodotto e alla sua scadenza (quella che tecnicamente si indica come “durabilità”), ci devono quindi essere tre gruppi di informazioni. Prima di tutto l’indicazione dell’origine della materia prima con la quale l’alimento è stato ottenuto e dove la stessa materia prima è stata lavorata. Poi l’elenco degli ingredienti con i quali il prodotto è stato ottenuto, in ordine decrescente di peso. Da qualche tempo, fra l’altro, questa parte delle etichette indica anche la presenza di eventuali allergeni (che deve essere evidenziata con carattere diverso rispetto agli altri ingredienti per dimensioni, stile o colore). Sempre in questa sezione devono anche essere indicati gli eventuali “oli vegetali” o “grassi vegetali” (con la loro origine specifica). Il terzo gruppo di indicazioni riguarda la Dichiarazione nutrizionale. Sono cioè obbligatorie le indicazioni su: valore energetico, grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine, sale. In questo caso l’indicazione è riferita a 100 g/100 ml dell’alimento, oppure alla singola porzione.
L’accento posto in questi giorni è sulla dichiarazione dell’origine delle materie prime. Per la pasta secca, per esempio, il Ministero per le Politiche agricole ha spiegato che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia dovranno avere obbligatoriamente indicate in etichetta il Paese di coltivazione del grano (nome del Paese nel quale il grano viene coltivato), l’indicazione del Paese di molitura (cioè dove il grano è stato macinato),. Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi Ue, Paesi Non Ue, Paesi Ue e Non Ue. Se invece il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura: “Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue”. Per il riso le disposizioni sono simili. Il provvedimento prevede – dice sempre il Ministero -, che sull’etichetta del riso devono essere indicati: “Paese di coltivazione del riso”, “Paese di lavorazione”, “Paese di confezionamento”. Se le tre fasi avvengono nello stesso Paese è possibile utilizzare la dicitura “Origine del riso: Italia”. Anche per il riso, se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi Ue, Paesi Non Ue, Paesi Ue e Non Ue.
Vincoli simili ci sono per gli altri alimenti già “coperti” dalle etichette con l’indicazione di origine. Per molte carni, per esempio, occorre indicare il luogo dove l’animale e è nato, quello deove è stato allevato e quello dove è stato macellato. E i prodotti con le vecchie etichette ma ancora buoni? La legge dice che è possibile la loro vendita “fino ad esaurimento delle scorte”.
L’obbligo di indicare in etichetta l’origine è una battaglia storica degli agricoltori e in particolare della Coldiretti che la iniziò con la raccolta di un milione di firme che promosse una legge di iniziativa popolare (la legge n.204 del 3 agosto 2004). Più recentemente (il 19 aprile 2017), è scattato l’obbligo di indicare il Paese di mungitura per latte e derivati dopo che il 7 giugno 2005 era entrato già in vigore per il latte fresco e il 17 ottobre 2005 l’obbligo di etichetta per il pollo; mentre, a partire dal 1° gennaio 2008, c’è l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro. A livello comunitario il percorso di trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza nel 2002, mentre dal 2003 è d’obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova e, a partire dal primo agosto 2004, l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto. Rimangono ancora fuori dall’obbligo delle indicazioni di origine delle materie prime, alimenti come salumi e carni trasformate, le carni di coniglio, l’ortofrutta trasformata, il pane.
Andrea Zaghi