Def e crisi. Giovannini: "La crescita economica, da sola, non risolverà i nostri problemi"
Già presidente dell’Istat e ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Enrico Giovannini è ordinario di statistica economica all’Università di Roma “Tor Vergata” e portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile: "Il Def cerca di restare sul crinale difficile che corre tra impegni di risanamento finanziario e esigenze di stimolo alla crescita".
Enrico Giovannini è ordinario di statistica economica all’Università di Roma “Tor Vergata” e portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. Ma è stato anche presidente dell’Istat e ministro del Lavoro e delle politiche sociali. Dunque un interlocutore privilegiato per commentare il Documento di economia e finanza (Def) del governo, con uno sguardo particolare per le sue implicazioni sociali.
Come valuta il Def del governo Gentiloni? E in che rapporto lo vede con le scelte dei governi precedenti?
Questo Def conferma da molti punti di vista l’impianto dei precedenti, soprattutto in quanto cerca di restare sul crinale difficile che corre tra impegni di risanamento finanziario e esigenze di stimolo alla crescita.
Forse non sarebbe stato realistico immaginare un’impostazione diversa...
Il Def sembra accettare uno scenario di medio-termine costruito sulla consapevolezza di quella che viene definita "stagnazione secolare". Per motivi strutturali la crescita del Prodotto interno lordo sarà comunque molto più contenuta rispetto al passato. Diciamo circa del 3% all’anno su scala mondiale, del 2% nell’insieme dei Paesi più industrializzati e dell’1% in Italia.
Questo vuol dire che la crescita economica, da sola, non risolverà i nostri problemi.
Il tasso di disoccupazione resterà elevato, il tasso di povertà non verrà assorbito rapidamente e il risanamento della finanza pubblica sarà lento. Più lento di quanto richiesto dalle regole europee. Davanti a questo scenario è necessario quindi discutere se il fiscal compact sia ancora sostenibile o vada ripensato. Non si tratta di chiedere eccezioni o scappatoie. Il punto è che lo scenario è diverso da quello in cui quelle regole sono state scritte e non si può non prenderne atto. Tra l’altro, proprio nel 2017 cadono i cinque anni previsti per una sua valutazione.
Perché l’Italia cresce meno degli altri Paesi?
Da noi quei fattori strutturali a cui ho accennato agiscono in misura ancora più rilevante. Per esempio a causa di un problema che riguarda la dotazione di capitale umano, dovuta a una carenza di forza lavoro qualificata per i cosiddetti “nuovi lavori” legati alle nuove tecnologie dell’informazione. Più in generale dobbiamo riprendere e accelerare il percorso delle riforme, se vogliamo accelerare la ripresa. A cominciare da un intervento efficace contro la povertà.
A questo riguardo, nel Def viene adottato il Rei, il Reddito d’inclusione. Che cosa ne pensa?
Il Def, insieme alla legge delega recentemente approvata, rende permanente una misura che è stata inserita nel nostro ordinamento quando ero Ministro (il Sia, Sostegno per l’inclusione attiva, ndr).
È un passo importante, ma molto dipende da come la misura sarà attuata. Il Def prevede uno stanziamento insufficiente sul piano quantitativo per risolvere il problema, ancorché destinato a crescere nel tempo. Inoltre, il trasferimento monetario (che si accompagna alla presa in carico della famiglia sulla base di un “patto” che definisce anche l’impegno dell’assistito ad attivarsi) va articolato non in cifra fissa, ma variabile, in modo tale da portare il reddito delle persone povere a raggiungere quello definito dalla “soglia di povertà” (circa 1.000 per una coppia).
Solo in questa maniera non solo si fronteggerebbero le situazioni di grave disagio, ma si supererebbe quel senso di insicurezza che spinge anche le persone con un reddito di poco superiore alla soglia di povertà a risparmiare il più possibile riducendo i consumi. In questa chiave, allora, la lotta alla povertà diventerebbe anche una forma di sostegno strutturale alla crescita dell’economia nel suo complesso. Infine, poiché il Rei non è solo un trasferimento monetario, va investito sull’integrazione dei servizi (sociali, educativi, sanitari) a livello locale. Vedremo che cosa dirà in proposito il decreto che deve dare attuazione alla legge delega.
Nel Def compaiono per la prima volta anche quattro indicatori di Bes, Benessere equo e sostenibile. Lei fa parte del comitato di esperti che sta lavorando su tali indicatori. Pensa che davvero riusciranno a incidere sulle scelte politiche?
Il comitato completerà il lavoro entro aprile e gli indicatori saranno più numerosi, ma il ministro Padoan ha voluto, giustamente, anticipare un primo set di indicatori per poterli inserire subito nel Def.
È un passaggio politicamente importante ma anche tecnicamente impegnativo, se si vuole che gli indicatori di Bes abbiano un’incidenza effettiva: l’Istat deve essere in grado di quantificarli in tempo reale (come già accade per il Pil) e il governo si deve attrezzare con nuovi modelli di valutazione d’impatto delle varie politiche.
Peraltro, in Italia manca un approccio sistematico alla valutazione preventiva delle politiche. La riforma costituzionale non approvata dal referendum attribuiva questa funzione al Senato, ma ora? Spero che il tema venga ripreso al più presto magari attribuendo questa funzione ad un Cnel “reinventato” o potenziando l’Ufficio parlamentare di bilancio, che già effettua una valutazione delle previsioni macroeconomiche del Governo.