Verso il concistoro: «Papa Francesco non ama i simulacri vuoti»
Il prossimo 14 febbraio papa Francesco creerà 20 nuovi cardinali. Massimo Faggioli, vive e insegna negli Stati Uniti. Nella scelta e nell’identikit dei nuovi cardinali, vede emergere «l’ecclesiologia delle periferie che è uno dei contributi più significativi del Papa: è un’idea teologica, spirituale, storico-sociale che sta trovando anche un’espressione istituzionale che, come si sa, è la cosa più difficile di tutte nella chiesa cattolica».
Il cardinalato è una vocazione e un servizio di aiuto al papa e per il bene della chiesa, non un premio al culmine della carriera. È quanto scrive papa Francesco nella lettera inviata ai 20 nuovi cardinali che saranno creati nel concistoro del 14 febbraio. Nella missiva del pontefice, sottolinea Massimo Faggioli, docente di storia del cristianesimo e direttore dell’Istituto per il cattolicesimo e la cittadinanza alla University of St. Thomas a Minneapolis-St. Paul (Usa), viene esplicitato «ancora di più il senso non corporativo dell’istituzione del cardinalato». Dagli Stati Uniti, in cui vive e insegna, lo storico ci offre una lettura a tutto tondo delle parole e delle scelte del papa.
Faggioli, nella lettera inviata ai nuovi cardinali sembra emergere l’identikit di questa figura così come intesa da Francesco.
«Francesco ha dato una chiara impronta personale al suo pontificato ma non in senso centralista: la forte personalità del papa ha, dall’inizio del pontificato, parlato di collegialità e sinodalità della chiesa. Lo si è visto al sinodo, ma anche nell’inizio della riforma della curia romana. Il cardinalato è stato fin dal Medioevo descritto come "parte del corpo del Papa", ma qui Francesco esplicita ancora di più il senso non corporativo dell’istituzione del cardinalato, che figurativamente è espressione della chiesa di Roma, ma che riflette la chiesa universale».
Papa Francesco sembra modificare, in un certo senso, il concetto stesso di cardinalato: non è assolutamente «un premio», anzi…
«È una ridefinizione che esplicita qualcosa che si sapeva già essere parte del ruolo: un servizio e non un premio. Ma i meccanismi di carriera esistono anche nella chiesa e questo aspetto è quello che è più difficile da cambiare anche perché la chiesa tiene se stessa e viene tenuta dall’opinione pubblica a rispettare standard molto più stretti di ogni altra organizzazione globale. Il nuovo "speculum cardinalis", l’identikit del cardinale di papa Francesco, assume nuova luce, da una parte, di fronte agli scandali degli ultimi anni e, dall’altra parte, di fronte alle persecuzioni anticristiane in alcuni paesi del mondo. Papa Francesco mostra che la chiesa impara dalla storia, dalle vicende dolorose attraversate nei tempi recenti. Questo dice molto della comprensione del rapporto tra chiesa e storia in papa Francesco».
Guardando alla provenienza dei nuovi cardinali, non si può certo dire che il papa abbia disatteso il criterio dell’universalità…
«Quello che il papa usa è un criterio che tiene conto della geografia ecclesiale ma anche della persona. In questo c’è un messaggio circa un generale ri-orientamento della chiesa e della sua auto-percezione, che non è più solo ‘territoriale’ ma anche e soprattutto ‘personale’. È anche questo frutto di un lento ma netto congedo, che inizia col Vaticano II, da un’idea imperiale di chiesa in cui ci sono dei territori da controllare. La chiesa deve avere anche un’idea geografica, ma senza farne il criterio di misura di se stessa».
Tonga, Capo Verde, Myanmar, Agrigento… Comunità ecclesiali piccole o in situazioni di minoranza avranno un cardinale, mentre non ci saranno porporati per l’America settentrionale (Usa e Canada) o per i grandi centri. Anche qui emerge la predilezione per le periferie rispetto ai grandi centri.
«La chiesa nordamericana non aveva aspettative di nuovi cardinali a questo concistoro, ma è indicativo che alcuni lo abbiano interpretato come un segnale lanciato alla chiesa americana: è un indizio della difficile recezione di papa Francesco negli Stati Uniti - tanto più importante in vista del viaggio di settembre. Ma guardando oltre i casi specifici, l’ecclesiologia delle periferie è uno dei contributi più significativi di papa Francesco: è un’idea teologica, spirituale, storico-sociale che sta trovando anche un’espressione istituzionale - che, come si sa, è la cosa più difficile di tutte nella chiesa cattolica».
Un solo nuovo cardinale della curia romana e alcun vincolo alla tradizione delle “sedi cardinalizie”. Semplice rottura con tradizioni storiche?
«Una rottura rispetto ai tempi recenti, ma un ritorno a una tradizione più normativa della dimensione universale della chiesa. Da questo punto di vista, gli ultimi secoli devono essere visti come un’eccezione e non come la regola. Ci si avvia a un regime in cui certi squilibri a favore dell’Europa vengono a essere sanati. E con molto ritardo».
Come cambia, a questo punto, la geografia del collegio cardinalizio? E come cambiano i rapporti tra le diverse chiese?
«La geografia si sposta verso sud e verso est. Ma i cambiamenti nei rapporti tra chiese sono descritti meglio dai mutamenti delle coordinate storiche, più che di quelle geografiche. Il baricentro si sposta da chiese europee antiche e demograficamente indebolite a chiese extraeuropee più giovani ed energiche. Resta da vedere l’effetto di questo spostamento per tutta la chiesa - chiese giovani e chiese antiche: per rinvigorire le chiese europee non è detto che ci vogliano più cardinali europei, anzi…».
Tutte queste considerazioni sono da ascrivere a una nuova pagina della storia della chiesa oppure rimandano a fatti già avvenuti in passato?
«Quello deciso da papa Francesco è un cambiamento che era iniziato in maniera timida qualche decennio fa, ma ancora molto in maniera simbolica più che reale. Papa Francesco non ama i simulacri vuoti e sta riempiendo di contenuti la sua ecclesiologia».