Talitha Kum: dieci anni d’amore tutti da festeggiare
Da dieci anni, proprio nel cuore della Nyahururu turistica, vive Talitha Kum, simbolo di una delle piaghe più dolorose che vive il Kenya e in generale l’Africa. La casa è nata dall’esperienza del Saint Martin per accogliere tutti quei bambini, affetti dal virus dell’Hiv e orfani, di cui le loro comunità di origine non sono in grado di occuparsi.
Sono numerosi i turisti che ogni giorno dal centro di Nyahururu prendono la strada per Nieri e meno di un chilometro dopo l’uscita dal centro abitato si fermano per visitare le Thomson falls, le cascate alte più di 80 metri che costituiscono la maggior attrazione naturale di quest’angolo del Nyandarwa.
Chissà quanti di loro si chiedono da dove venga quel vociare vivace e allegro che a tratti sovrasta anche il rombo della cascata… Sì perché da dieci anni, proprio nel cuore della Nyahururu turistica, vive Talitha Kum, simbolo di una delle piaghe più dolorose che vive il Kenya e in generale l’Africa.
La casa è nata dall’esperienza del Saint Martin per accogliere tutti quei bambini, affetti dal virus dell’Hiv e orfani, di cui le loro comunità di origine non sono in grado di occuparsi
Una casa nata, come recita lo statuto del trust, «per garantire una morte dignitosa» a questi piccoli.
«Solo che negli anni, abbiamo fatto l’esperienza contraria – riflette con un sorriso sulle labbra don Gabriele Pipinato, economo diocesano tra i fondatori della casa – Talitha kum è ora il luogo in cui questi bambini e ragazzi vivono con dignità».
“Love gives life”, l’amore dona la vita, è il motto dell’organizzazione (oggi indipendente e retta dalle suore Dimesse con la supervisione del fidei donum padovano don Mariano Dal Ponte), e si può dire che si sia realizzato, anche grazie a «un miracolo dell’umanità», come lo definisce don Pipinato.
Se i ragazzi ospiti della casa oggi sono 78 e in dieci anni solo dodici hanno dovuto arrendersi alla malattia, è grazie all’accordo internazionale dei primi anni Duemila che ha portato anche in Kenya alla distribuzione gratuita degli antiretrovirali, seppure in una versione meno avanzata di quella in circolazione in Occidente.
«L’Aids evolve – riprende il sacerdote – e così dev’essere anche per chi se ne occupa. Nel 2000 i farmaci erano inaccessibili. Come Saint Martin giravamo le parrocchie, una persona affetta da Hiv faceva una testimonianza e poi pranzavamo tutti insieme, per dissipare lo spettro di questa malattia che generava un forte stigma sociale a causa dell’ignoranza. Allora acquistavamo gli antiretrovirali dal Brasile o dall’India, poi dal 2004 è cambiato tutto».
Eppure, Talitha Kum è apparsa all’inizio come il monumento più grande al fallimento dell’approccio comunitario del Saint Martin
«Per noi affidare i bambini malati o i ragazzi di strada alle famiglie e alle comunità significava donare Cristo in persona. Non poterlo fare con questi bambini è significato scontrarci con il nostro limite».
In realtà, anche attorno alla casa è vivo l’impegno delle comunità dei ragazzi, che pur non potendo accoglierli ogni fine settimana si recano a trovarli con cibo e piccoli doni.
La storia della casa d’altra parte è costellata di episodi di pura Provvidenza, a partire dall’acquisto stesso del terreno su cui sorge Talitha Kum. «Il padrone del campo aveva bisogno dei soldi urgentemente – ricorda don Gabriele – Ma quella mattina era uno dei rari momenti in cui eravamo al verde. Mi sono rivolto al vescovo Pajaro, e alla fine abbiamo potuto pagare i 67 mila euro necessari grazie a una donazione di 70 mila anonima e inattesa… tutto questo mi ricorda i racconti di mons. Frasson, fondatore dell’Opsa».