La formazione dei preti? Non può che essere permanente
Quale peso hanno la formazione di base e permanente nella vita di un prete, quale impronta imprimono nel suo percorso umano, spirituale, teologico? Sono le domande a cui hanno risposto sei sacerdoti, tre di Padova e tre di Vicenza, differenti per età, ma anche per anzianità presbiterale e ministeri pastorali.
La fotografia di ciò che rappresenta il formarsi come uomini di fede e come pastori è articolata, sfumata, a tratti, complessa.
Don Alessio Rossetto, della parrocchia di San Bartolomeo apostolo di Monselice, ordinato lo scorso 4 giugno in Cattedrale a Padova dal vescovo Claudio, ha chiaro ciò che è stato determinante nella sua scelta vocazionale: «Sono stato educatore di Azione cattolica per anni e condividere con tanti preti le settimane estive dei campi diocesani, mi ha messo un po’ alla volta a contatto con il loro modo di pregare, le levatacce mattutine di alcuni di loro, che si alzavano per pregare il breviario. Sì, senza dubbio la formazione più bella di questo periodo mi è stata data dalla testimonianza di fedeltà di alcuni amici sacerdoti».
Poi il seminario maggiore non ha fatto altro che sedimentare la scelta
«Ho ritrovato nei compagni più grandi e negli educatori la stessa fedeltà alla preghiera che avevo scoperto durante i campi scuola diocesani. Ho imparato a pregare tutto l’ufficio divino “guardando” i compagni che erano più avanti nel cammino. Passare nelle cappelline durante il pomeriggio e vederle “abitate” da alcuni seminaristi che pregavano l’ora media, meditavano la Parola, facevano una pausa dallo studio e si fermavano davanti al tabernacolo sono i ricordi più belli che ho dei primi due anni di seminario».
Parrocchia e famiglia sono i due contesti che hanno fatto germogliare la scelta vocazionale di don Antonio Pedron
Ordinato presbitero esattamente 70 anni fa, che oggi a 92 anni è ancora penitenziere della Cattedrale della diocesi di Padova. Prima di entrare in seminario don Antonio frequentava la parrocchia di Mestrino in cui la famiglia era inserita.
«Il gruppo dei chierichetti e l’Azione cattolica sono stati determinanti, ma soprattutto il mio cappellano dell’epoca perché lo vedevo felice di essere prete e io volevo diventare ed essere come lui».
La formazione al seminario minore del Barcon di Thiene e al maggiore a Padova era l’unica che si riceveva
«Cosa capissi io della mia vocazione all’inizio, solo Dio lo sa... Era per me una scelta che sentivo naturale: non ho mai avuto dubbi sul Signore, casomai li ho avuti su di me».
Entrato in seminario a 14 anni, don Fabio Fioraso, parroco di Tombelle nel Veneziano e vicario foraneo di Vigonovo, ne è convinto: l’esperienza di comunità degli anni del ginnasio e poi del liceo è stata fondante per la sua vocazione.
Una linfa che non smette mai di scorrere è proprio quella che don Fabio riceve dal suo gruppo classe: «Siamo partiti allora in sedici, adesso siamo undici e ci ritroviamo insieme ogni mese. Per i 25 anni di ordinazione abbiamo scelto di fare gli esercizi spirituali in Terrasanta, turnandoci nella predicazione. E non è stato facile perché quando predichi ai tuoi compagni, ai tuoi fratelli di ordinazione, non è scontato. È stata un’esperienza fortissima, arricchente».
Don Fabio alimenta la propria essenza umana e presbiterale in due direzioni: la prima seguendo le proposte dell’istituto San Luca per la formazione permanente e la seconda ritagliando ogni settimana del tempo per l’aggiornamento attraverso la lettura di documenti, encicliche, riviste specializzate sulla vita pastorale.
«Faccio parte anche di un gruppo di supervisione dell’Istituto san Luca guidato dalla psicologa Silvia Destro, che quest’anno si è ritrovato ogni settimana in parrocchia a Vigodarzere. È un momento importante perché ci dà la possibilità di condividere e confrontarci nelle nostre esperienze di preti e di uomini, con una chiave di lettura psicologica ed esistenziale che va declinata anche sotto l’aspetto pastorale».
La formazione permanente per don Mariano Lovato, parroco dell’unità pastorale di Arzignano nel Vicentino, è imprescindibile, anche se non basta
«C’è una dimensione che noi preti dovremmo coltivare di più: la fraternità. Da quando sono diventato sacerdote non ho mai abitato da solo; di sicuro ha influito la mia provenienza da una famiglia numerosa, ma sono convinto che abbiamo bisogno di stare insieme tra noi per aiutarci a riscoprire a vicenda la vocazione, diventando anche segno di fratellanza per gli altri, perché se la gente vede che andiamo d’accordo, è più disposta a seguirci. Se ogni anno un prete avesse a disposizione una settimana di formazione con la sospensione delle attività ordinarie, si ricaricherebbe meglio perché di relazione umana tra noi sacerdoti non si dovrebbe essere mai sazi».
Sulla ricchezza formativa che può provenire da associazioni e movimenti ecclesiali don Simone Zonato, residente ad Altavilla Vicentina e docente di scienze sociali all’Istituto di scienze religiose di Padova, non ha dubbi.
«Il confronto, soprattutto con altre spiritualità sempre all’interno della chiesa, mi ha fatto e mi fa molto maturare, perché in seminario la preghiera ha un’impronta precisa e il rischio è di sentirsi poi già arrivati. Coltivare il desiderio di confrontarsi con spiritualità differenti avvicina ad altre belle sensibilità dentro alla chiesa».
Anche la formazione condivisa con laici e religiosi ha un peso non da poco per i presbiteri, «per contrastare quell’autoreferenzialità che spesso porta i preti a sapere già come va il mondo, il lavoro, la famiglia, la vita… Sentire ed entrare in contatto con altre vocazioni ti fa crescere: la visione familiare l’hai studiata in seminario, poi devi lasciarti plasmare da chi incontri anche nella preghiera».
Perché, alla fine, è solo una la cosa che conta, anche quando un prete si forma: fare lavoro di squadra.
Così si riassume in poche parole l’azione pastorale per don Riccardo Pincerato, ordinato due anni fa a Vicenza insieme ad altri sei compagni. E come ogni squadra che si rispetti l’allenamento deve essere fatto bene e con convinzione: «Papa Francesco non si stanca di dircelo: dobbiamo lavorare insieme, vivere insieme, ragionare in équipe. Oggi, in diocesi di Vicenza, i preti giovani sono “spalmati” uno per vicariato e personalmente sento forte l’esigenza di confrontarmi anche con i miei coetanei perché c’è la necessità di conoscerci e riconoscerci nell’esperienza umana e pastorale che viviamo».