La famiglia Fanton racconta il Saint Martin in Kenya
Giovedì 14 aprile, alle 20.45, il centro parrocchiale di Altichiero assisterà a un gradito ritorno, perché Fabio e Ilaria Fanton, con i figli Tommaso ed Edoardo, torneranno a casa per raccontare la prima parte della loro esperienza di missionari laici fidei donum in Kenya.
I Fanton, a novembre 2014, sono partiti alla volta di Nyahururu per mettere a disposizione della missione un periodo della loro vita.
Fabio lavora nell’ufficio marketing de L’Arche Kenya, realtà a supporto delle persone con disabilità, per reperire i finanziamenti per le case e i progetti.
Ilaria, invece, si occupa dell’ufficio pubbliche relazioni del Saint Martin, per far conoscere ai visitatori provenienti da tutto il mondo l’essenza del centro.
Con loro abitano il figlio Tommaso, di cinque anni, che va già a scuola e parla fluentemente italiano, kiswahili e inglese e il piccolo Edoardo di due anni, sempre circondato da coetanei kenioti.
Si va per dare, e invece si riceve...
«Quello che abbiamo imparato in questo primo anno e mezzo – osserva Fabio – è vivere tra la gente, in modo limpido, senza troppe storie. Si sta bene in questa semplicità, che respiro sia tra i colleghi che tra le persone che visitiamo nei villaggi».
Si va per dare, in realtà si riceve: «Avevo già lavorato con i disabili in Italia, ma qui ho visto come lasciarmi andare e farmi amare da queste persone, che anche quando ho la giornata storta vengono, mi abbracciano, sbavano e mi trasmettono il loro affetto. La mia vita qui è cambiata radicalmente».
Fabio ha fatto da autista al matrimonio dell’autista del Saint Martin e un giorno ha accompagnato a casa, villaggio dopo villaggio, i ragazzi del centro diurno: «La gente era stupita che un “musungu”, un bianco, facesse da autista a un nero».
«La dimensione spirituale la fa da padrona – continua Ilaria – non c’è incontro che non inizi almeno con mezz’ora di preghiera. A volte ti trovi da solo, tra te e Dio».
Anche i ritmi sono diversi rispetto a quelli italiani: «Nonostante un cammino di due anni di preparazione, è l’esperienza che facciamo qui che ci mette a nudo. Da noi la giornata inizia alle sei del mattino e si conclude alle cinque del pomeriggio. Non c’è una vita serale, per cui stai in casa, con la famiglia, a giocare. Non abbiamo la televisione. Non esiste la distrazione, né qualcosa che ci impedisca di dialogare, di entrare in contatto. Qui siamo obbligati ad affrontare gli argomenti e le difficoltà. Anche questo è il bello dell’Africa».
Nel corso della serata del 14 aprile Fabio e Ilaria cercheranno di raccontare anche il modo con cui la fede è vissuta a Nyahururu
«Le persone pregano e ringraziano Dio per ogni cosa. A volte un po’ troppo, ma è bello poter vedere Dio ovunque, nel creato, nei fratelli, in ciò che viviamo».