Prendersi cura nell'era della tecnologia
L'intervento di papa Francesco, l'apertura dell'ospedale Bambin Gesù, il tentativo della diplomazia di conferire al piccolo Charlie la cittadinanza vaticana. Il caso del bambino britannico nato con la sindrome da deplezione del dna mitocondriale continua a far discutere e il momento in cui i medici staccheranno la spina si avvicina. Un caso che apre molte riflessioni, tra qui quella sul confine incerto tra cura e accanimento terapeutico e sulla nostra capacita ci prenderci cura oggi, non solo dal punto di vista sanitario, anche quando sappiamo che guarire non si può.
«Ho chiesto al direttore sanitario di verificare con il Great Ormond street hospital di Londra, dove è ricoverato il neonato, se vi siano le condizioni sanitarie per un eventuale trasferimento di Charlie presso il nostro ospedale. Sappiamo che il caso è disperato e che, a quanto risulta, non vi sono terapie efficaci». Le parole della presidente dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, Mariella Enoc, hanno aperto lunedì l’ultimo grande capitolo della dolorosa vicenda di Charlie Gard. Quello della solidarietà internazionale.
«Siamo vicini ai genitori nella preghiera e, se questo è il loro desiderio, disponibili ad accogliere il loro bambino presso di noi, per il tempo che gli resterà da vivere» ha aggiunto Enoch all’Ansa, sottolineando come le parole di papa Francesco, all’Angelus di domenica scorsa («Difendere la vita umana, soprattutto quando è ferita dalla malattia, è un impegno d’amore che Dio affida a ogni uomo»), sintetizzano perfettamente la missione dell’ospedale che presiede.
Nei giorni successivi Connie Yates ha risposto all’appello con una telefonata dai toni determinati, ma il Great Ormond street hospital, dove il piccolo Charlie è ricoverato, ha ribadito che il bambino non è nelle condizioni di essere trasportato in Italia.
«Il santo padre», ha dichiarato proprio il 2 luglio il portavoce vaticano Greg Burke, «segue con affetto e commozione la vicenda del piccolo ed esprime la propria vicinanza ai suoi genitori». Per essi «prega, auspicando che non si trascuri il loro desiderio di accompagnare e curare sino alla fine il proprio bimbo».
Un intervento, quello del papa, arrivato dopo la decisione dei medici britannici di concedere ancora qualche giorno a Chris Gard e Connie Yates per stare con il piccolo di dieci mesi, malato in forma inguaribile, prima di staccare la spina del respiratore automatico che lo tiene in vita.
Com’è noto, l’interruzione della respirazione artificiale e di ogni altro supporto clinico al piccolo Charlie è stata stabilita dalle sentenze di tre corti britanniche negli scorsi mesi e, una decina di giorni fa, anche dal pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. E a testimoniare l’attenzione internazionale sulla vicenda, sempre nella giornata di lunedì scorso è arrivato anche il tweet del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che si è detto felice di aiutare il piccolo Charlie «come i nostri amici in Gb e il papa».
Un’apertura che riporta alla mente la volontà espressa dai genitori di trasferire proprio negli Usa il bambino per sottoporlo a una cura sperimentale. Un obiettivo per il quale si era mobilitata la rete, raccogliendo oltre un milione di dollari per il viaggio. Viaggio poi bloccato proprio dai giudici.
Anche in questa come in altre note vicende di questi ultimi anni, più che sulla storia in sé, la riflessione andrebbe concentrata sullo strettissimo confine che separa la necessità di curare fino in fondo l’individuo malato senza possibilità di guarire e l’accanimento terapeutico, cioè la volontà di mantenere in vita un corpo che senza supporti tecnologici sarebbe altrimenti destinato alla morte.
In questi termini aveva parlato proprio il genetista del Bambin Gesù, Bruno Dallapiccola, in un’intervista concessa a Vatican Insider. «Bisogna distinguere l’utilità dell’intervento medico dall’accanimento terapeutico. E la stessa morale cattolica non favorisce di certo l’accanimento – sono state le sue parole – Di fronte a un quadro di una malattia molto grave, progressiva, ingestibile, è necessario fare una profonda riflessione, ma poi si deve giungere ad una conclusione».
A volte dunque è necessario rassegnarsi all’impotenza della medicina. «Nel caso di Charlie, affetto da una patologia che dal punto di vista cerebrale e respiratorio era fin dalla nascita drammatica, in quanto lo ha privato delle funzioni vitali fondamentali – ha aggiunto Dallapiccola – il medico deve utilizzare tutte le risorse disponibili comprese quelle meccaniche per tenerlo in vita. Una volta accertata la diagnosi e stabilita l’ineluttabilità della condizione, deve rassegnarsi all’impotenza della medicina e prendere una decisione certamente drammatica, esattamente come si fa con il neonato anencefalo che nasce vitale».
Eppure, ha sottolineato al Sir Adriano Pessina, direttore del Centro di ateneo di bioetica dell’Università cattolica del Sacro Cuore, «quando non c’è più nulla da fare, c’è ancora molto da fare», perché
«inguaribile non significa incurabile e nel concetto del prendersi cura c’è un accompagnamento alla morte, che a sua volta deve essere proporzionato come l’atto terapeutico».
Pessina parla però anche dell’«accanimento giudiziario» con cui si è risposto alla preoccupazione di due genitori disperati. «Leggendo vari commenti sembra che prevalga la tesi per cui “non valga la pena” custodire e amare le persone quando non ci sono speranze di guarigione e di miglioramento. Viviamo in una società anestetizzata che non sa ascoltare il linguaggio della sofferenza e del dolore che ha animato i genitori di Charlie e lo contrappone frettolosamente a quello dell’amore. Eppure c’è molto amore nel desiderio di custodire il proprio figlio malgrado la malattia, la diagnosi avversa, la competenza clinica, l’acribia dei giudici. Spenta la vita del piccolo Charlie, si spegneranno i riflettori: non spegniamo l’inquieta domanda della coscienza che ci chiede se sappiamo ancora dare un senso alla cura nell’epoca della tecnologia».
Mercoledì scorso infine, 40 eurodeputati di diversi Paesi hanno sottoscritto una lettera in cui condannano la decisione di medici e giudici di mettere fine alla vita di Charlie in contrasto con la volontà dei genitori e si dicono preoccupati per il mancato rispetto dei valori della vita e della dignità umana.