Fare o essere? Ecco la vera sfida. Il bilancio del vescovo Claudio del primo anno di visita pastorale
Visita pastorale. Concluso il primo anno, il vescovo Claudio traccia un bilancio degli incontri con le comunità visitate. E indica alcune strade e prospettive per il futuro
Pare ieri che il vescovo Claudio annunciava la sua prima visita pastorale, e un anno è già passato tra incontri, celebrazioni, viaggi da nord a sud della diocesi. A segnare lo stile della visita, una domanda posta dal vescovo in apertura della lettera scritta alle comunità e già riecheggiata nel suo primo saluto alla diocesi il giorno dell’ingresso a Padova: come state? Due semplici parole, che mille volte ciascuno di noi ha pronunciato nell’incontrare un amico o un parente, ma che in questo caso valgono molto più di un saluto. Sono, piuttosto, il segno di un desiderio profondo di condividere fatiche e successi, fragilità e sogni tra un vescovo e il suo popolo. Con sincerità, con franchezza, con profondità di analisi. Per confermarsi a vicenda nella fede e insieme disegnare il volto futuro della nostra Chiesa.
E allora è proprio da qui, che è bene partire. Come stanno, i cristiani e le comunità padovane?
«Io credo che noi per primi non riusciamo a scorgere tutta la ricchezza e la bellezza che esiste, e che si incarna nell’esperienza quotidiana di tanti cristiani impegnati nel mondo. Penso agli insegnanti che ho incontrato, penso ai sindaci con cui ho dialogato in forma privata, ai cristiani che sono impegnati a tutelare e valorizzare l’ambiente: tante persone che si spendono giorno per giorno con la consapevolezza della responsabilità che viene loro dalla fede e che dalla Chiesa si attendono sostegno e incoraggiamento. Ma penso anche all’affetto, al sentimento di appartenenza, alle disponibilità vocazionali che ho incontrato nelle nostre comunità parrocchiali e che a volte ho la sensazione che non siamo ancora in grado di accogliere e valorizzare in modo adeguato. Forse, mi viene da dire, non siamo ancora messi sufficientemente alla prova perché fioriscano tanti germi che pure esistono sotto traccia».
Siamo arrivati all’altra sponda o siamo ancora a metà del guado?
«A me pare che dobbiamo fare i conti con una serie di indicatori contrastanti, senza nasconderci le difficoltà, con coraggio. Incontrando le comunità ho registrato anche stanchezza, frantumazione, in alcuni casi rassegnazione, un disagio che definirei più di carattere psicologico che organico. Oggi siamo alle soglie di un grande cambiamento e dobbiamo ridirci con chiarezza “perché e per chi vogliamo essere”. Certo, darci un’identità nuova richiede una grande forza. E dobbiamo farlo insieme».
Cosa dobbiamo abbandonare del passato per accettare la sfida del futuro?
«Siamo nati e cresciuti in quello che definisco un “regime di cristianità”, ed è naturale che vi sia la tentazione di aggrapparsi nostalgicamente a un passato che però non tornerà più. Il cambiamento è in atto, lo tocchiamo con mano e non riguarda la Chiesa ma coinvolge l’intera società. Come Chiesa possiamo e dobbiamo raccogliere la sfida. Come? Lasciandoci alle spalle il “regime” per investire invece su esperienze di vita cristiana più significative e attraenti. Che non significa elitarie: noi dobbiamo essere parrocchia per servire e includere tutti, facendo della sensibilità missionaria il tratto che unisce e contraddistingue la comunità cristiana».
Il “regime di cristianità” ha scandito e plasmato la vita delle comunità, traducendosi in strutture, organizzazione, programmi. La sfida del futuro su quali basi si deve imperniare?
«Innanzitutto direi sullo sforzo, sulla fatica di saper attendere che il nuovo maturi, senza costringerlo in schemi predefiniti. Che si tratti dei giovani come dei poveri, delle celebrazioni come delle ministerialità, le nostre parrocchie – che pure sono così diverse l’una dall’altra – mi pare vivano oggi più in una forma di obbedienza omologante che in un clima di creatività. E soprattutto siamo più impegnati a “fare cose” che a creare relazioni. Ma se non strutturiamo una progettualità pastorale condivisa, tanto impegno non costruirà mai un “noi” ma perpetuerà un “io” attorniato dai suoi collaboratori. Questo cambio di passo non richiede nuove strutture ma va costruito nella sensibilità e nella cultura del nostro popolo».
Ma da cosa si distingue una comunità evangelizzatrice?
«Ci sono alcuni criteri che per me sono fondamentali e su cui ho insistito molto anche durante la visita pastorale. L’annuncio del Vangelo richiede la quotidianità, la capillarità, autentiche relazioni comunitarie perché è nello stile di vita dei cristiani che prende forma e risulta credibile il messaggio evangelico. Tante volte le nostre relazioni sono basate sull’amicizia. È un primo passo, ma non sufficiente: per custodire e annunciare il Vangelo è la fede, e non l’amicizia personale, ciò che conta e che vale agli occhi del mondo».
La visita pastorale arriva dopo il percorso del Sinodo dei giovani. Finito il tempo dei “grandi eventi”, c’è ora una duplice sfida da affrontare giorno per giorno e luogo per luogo: le nostre comunità stanno dando spazio ai giovani? E i giovani, stanno vivendo esperienze ecclesiali significative?
«C’è tanto da fare. Quel che mi conforta è che nei giovani vedo una autentica disponibilità alla ricerca, domande spirituali profonde, un’esigenza di comunione e di sostegno che si traduce anche nella ricerca di adulti credibili, non giudicanti ma autorevoli. Dobbiamo però riconoscere che in passato ci siamo dedicati più ai bambini che ai ventenni, e ancora oggi non so quante delle nostre energie riusciamo davvero a dedicare loro. In genere mi pare che le comunità vivano con rassegnazione una distanza che non sanno come colmare, e che i giovani siano delusi dal mondo adulto che riusciamo a presentare loro. Eppure qui, nella scoperta delle strade giuste per accompagnarli, si gioca il futuro».
La Diocesi sta ragionando sui “gruppi di parrocchie” come futuro assetto organizzativo nel territorio. Da questo primo anno vengono indicazioni utili al percorso?
«Finora non ho trovato strade diverse da quella su cui ci stiamo confrontando. Ma per me è importante che tutti abbiano chiaro che siamo in un cantiere aperto, senza conclusioni predefinite o che saranno calate dall’alto. Dobbiamo maturare insieme un progetto di Chiesa, e farlo nel dialogo e nel confronto. Poi, certo, sarà compito mio che presiedo questa diocesi fare sintesi, ma solo se la fatica è di tutti, anche il risultato sarà condiviso».
La comunità è al servizio di tutti
«Il cambiamento che stiamo vivendo ci chiede di investire su esperienze di vita cristiana più significative e attraenti. Che non significa elitarie: noi dobbiamo essere parrocchia per servire e includere tutti, facendo della sensibilità missionaria il tratto che unisce e contraddistingue la comunità cristiana».
La lettera
Ogni visita si è conclusa con una lettera scritta dal vescovo Claudio a ciascuna comunità. «Ho scelto di scriverle per siglare l’apertura di un dialogo profondo tra la diocesi e la parrocchia, partendo dal presupposto che noi siamo al loro servizio, specie delle più piccole e in difficoltà. Anche dopo la visita, vorrei mantenessimo il livello di fraternità che si è creato. E vorrei che tutti apprezzassimo come un dono prezioso la diversità, l’originalità di ciascuna parrocchia, a partire proprio dalle più piccole».
Il racconto di un intero anno nel nostro sito internet
Una sezione del nostro sito internet è interamente dedicata al racconto della visita pastorale. Al suo interno è possibile ripercorrere le singole tappe, con i servizi di presentazione realizzati da Luca Bortoli e il racconto di alcuni dei momenti più significativi. Inoltre a ciascuna comunità è dedicata una pagina che ne presenta la storia, le opere d'arte, il profilo pastorale e ripropone tutti i servizi che la Difesa del popolo ha dedicato alla sua vita negli ultimi anni.
A completare il lavoro, i dati sul territorio, la popolazione, l'economia, l'istruzione, la sanità raccolti dalla Pastorale sociale e del lavoro per offrire un quadro esaustivo dello scenario in cui si situa l'impegno pastorale delle comunità cristiane e anche la loro riorganizzazione futura secondo il progetto dei "gruppi di parrocchie" che ha contraddistinto anche le tappe della visita pastorale.
Secondo anno: la visita riparte in ottobre dal Tresto
Sedici tappe scandiranno il secondo anno della visita pastorale, che si svolgerà da ottobre a giugno del 2020. Prima meta, Tresto, Ospedaletto e Santa Croce dal 9 al 13 ottobre. Fino a dicembre il vescovo sarà poi a: Rossano e Cassola; Cervarese, Montemerlo e Fossona; Brugine e Campagnola; Saonara, Celeseo, Sant'Angelo, Villatora e Vigorovea; Monselice.
Da gennaio toccherà a Cittadella; Vigodarzere, Tavo, Saletto e Terraglione; Rubano, Sarmeola, Bosco e Villaguattera; Mestrino, Lissaro, Arlesega, Grisignano e Barbano; Piovene, Grumello, Rocchette, Chiuppano e Carrè; Agna, Prejon, Borgoforte, Frapiero, Anguillara, Bagnoli e San Siro; Zugliano, Grumolo, Centrale, Zané, Immacolata; Romano, Fellette, San giacomo e Sacro Cuore; Vigonza, Pionca, Peraga, Codiverno, Busa e Perarolo; Camponogara, Campoverardo, Prozzolo, Premaore, Calcroci e Lughetto.