Obiettare per sopravvivere all’omologazione
L’obiezione di coscienza non è più di moda e, cosa ancor peggiore, non è più considerata come azione “reattiva” personale e sociale.
Siamo rimasti fermi all’obiezione di coscienza degli anni Ottanta e Novanta, quando ci si opponeva alla leva militare obbligatoria. Questo fino al gennaio scorso, quando il giornalista del Venerdì di Repubblica Raffaele Oriani ha scritto di suo pugno una lettera di dimissioni volontarie dal giornale, motivando il suo dissenso, la sua presa di distanze, la sua sofferenza etica e storica in una lettera alla redazione: «Care colleghe e colleghi, ci tengo a farvi sapere che a malincuore interrompo la mia collaborazione con il Venerdì. Chiudo qua, perché la strage in corso a Gaza è accompagnata dall’incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica. Sono 90 giorni (allora, ndr) che non capisco. Muoiono e vengono mutilate migliaia di persone, travolte da una piena di violenza che ci vuole pigrizia a chiamare guerra. Penso che raramente si sia vista una cosa del genere, così, sotto gli occhi di tutti. E penso che tutto questo non abbia nulla a che fare con Israele, né con la Palestina, né con la geopolitica, ma solo con i limiti della nostra tenuta etica. Quanto accaduto il 7 ottobre è la vergogna di Hamas, quanto avviene dall’8 ottobre è la vergogna di noi tutti». Molti mesi dopo e per motivi diametralmente opposti, un’altra forma di disobbedienza civile è stata mostrata da un paio di studentesse veneziane che per protestare contro «alcune scorrettezze nella valutazione di uno scritto» alla maturità, hanno scelto la scena muta volontaria all’esame orale, certe di andare incontro a una promozione con un voto basso, se non la bocciatura stessa. Coraggio, idealismo o anarchia, si dirà? O piuttosto forma di coerenza verso se stessi e quella società di oggi, anestetizzata e indifferente, non è più avvezza? Il coraggio di un giornalista che si scontra a parole e fatti, con il termine “genocidio” della storia contemporanea. E il gesto di alcune studentesse che sacrificano il proprio voto, per cercare giustizia scolastica, non vi sembrano due esempi sufficienti per ribadire come l’obiettare rimane un atto di coraggio che sopravvive alla critica, al pettegolezzo e all’omologazione? Lo credo, lo spero e ne rendo omaggio!