Nomi e curiosità delle otto campane del santuario dell'Arcella
Prodotte dalla prestigiosa e antica fonderia Cavandini di Verona, le campane furono accolte nel 1922 dalla popolazione e benedette dal vescovo Pelizzo. Dalla più piccola alla più grande, le otto campane hanno una storia particolare e dei nomi prestigiosi: quelli dei personaggi legati alla vita di sant'Antonio.
Durante il Transito di sant’Antonio, dall’alto del campanile del santuario in Arcella, i rintocchi delle campane, seguite dalle altre delle chiese di Padova, riecheggiano nelle vie della città per annunciare l’inizio della festa dedicata a sant’Antonio, morto il 13 giugno 1231. Le campane rievocano un suggestivo passo dell’Assidua, la più antica biografia del santo, scritta un anno dopo la sua morte, nella quale si narra che nel momento in cui il religioso francescano spirava a Padova, le campane di Lisbona, la sua città natale, suonarono spontaneamente per annunciare la “nascita al Cielo” di Ferdinando, divenuto per sempre sant’Antonio di Padova.
Quella delle campane e del campanile del santuario dell’Arcella è una storia nella storia raccontata da Leopoldo Saracini, storico e presidente del “Comitato organizzatore del Transito”, grande custode della memoria e degli aneddoti degli abitanti del quartiere: il campanile fu completato nel 1922 su volere dell’allora parroco Ludovico Bressan il quale, rivolgendosi agli arcellani era solito dire «Io ho fatto il campanile, voi fate le campane». Così, dopo aver raccolto i fondi, i fedeli si rivolsero all’antica e prestigiosa fonderia “Luigi Cavandini” di Verona (la stessa che realizzò la “campana dei Caduti” di Rovereto) che fabbricò otto campane tutte adornate con fregi e scritte latine. Il 27 agosto 1922, dalla ferrovia, dove arrivarono, fino al santuario, le campane furono caricate su carri e accompagnate da tutta la popolazione in festa nel lungo corteo. Poi, furono consacrate dal vescovo Luigi Pelizzo prima di essere issate e fissate sul campanile.
«Durante il Transito, a suonare per prima è la campana più piccola, il “do”, quella dei “fanciulli” perché furono proprio i bambini a correre per le vie della città gridando a tutti la morte di Antonio - spiega Leopoldo Saracini che svela anche i nomi delle restanti sette campane, tutte ispirate ai personaggi storici legati al santo e agli ultimi istanti di vita – Proseguendo, c’è poi la nota “si” dedicata alla beata Elena Enselmini, presente nell’Arcella nel monastero della Clarisse che gravemente malata, morirà pochi mesi dopo e il “la” che porta il nome di Luca Belludi, frate di grande cultura e amico fedele che assistette il taumaturgo da Camposampiero fino al quartiere settentrionale di Padova, scortando il carro trainato dai buoi. La quarta campana è il “sol”, intitolata a san Ludovico d’Angiò, principe e figlio del re di Napoli, morto a 23 anni, e che si fece francescano rinunciando al trono, ricevendo, così, l’ammirazione di sant’Antonio per la sua testimonianza di povertà. La campana è, inoltre dedicata al parroco Ludovico Bressan, mentre la quinta, il “fa”, ricorda san Francesco, sia quale fonte di ispirazione di Antonio di cui divenne ardente seguace, sia perché lo stesso convento dell’Arcella venne fondato da Francesco di ritorno dall’Oriente. Segue, poi, la sesta campana, la nota “mi” che ha il nome di san Giuseppe, patrono dei moribondi, mentre la settimana, il “re”, è dedicata alla madonna e all’inno “O gloriosa Domina sublimis inter sidera” che Antonio intonò in punto di morte. Chiude la fila di campane, l’ottava e anche quella più grande, il “do grave”, intitolata a sant’Antonio che nell’Arcella chiuse gli occhi e la sua vita terrena».
In alto, Leopoldo Saracini sotto la campana dedicata a san Giuseppe. Foto gentilmente concessa da Leopoldo Saracini
In basso, l'arrivo delle campane in Arcella, il 27 agosto 1922. Foto di "La vecchia Padova"