La nazionale di calcio femminile che fa arrabbiare i maschilisti. Ecco perché è una bella notizia
Domenica 8 giugno, alle 13, esordisce la nazionale italiana di calcio femminile ai mondiali di Francia. Un movimento che in Italia sta conoscendo un forte sviluppo, trainato anche dalle opportunità di spettacolo e di fatturato intravviste dai grandi club. Storia di uno spettacolo in crescita, contrastato però da molti che vedono messi in discussione certi stereotipi
Dalla clandestinità alla luce, dalla luce alla gloria.
Il calcio femminile torna a pesare in Italia, complice la qualificazione delle azzurre, dopo vent’anni, ai mondiali di calcio femminile iniziati venerdì in Francia.
Non una novità, sia chiaro. Il calcio femminile esiste da un secolo, l’Italia fu una delle pioniere del movimento negli anni ’20, fino a che il fascismo non decise che per le donne fosse più salutare starsene rinchiuse in cucina. Nei primi anni ’70, mentre il Calcio Padova si divertiva in vergognose gite fuori porta nella Serie C2 veneta, le ragazze della Gamma 3 Padova facevano il pienone all’Appiani con due scudetti consecutivi. Anche tra gli anni ’80 e ’90 campionesse del calibro di Carolina Morace, Betty Vignotto e Rita Guarino mostravano le potenzialità dell’altra metà del calcio.
Poi, qualcosa si è inceppato. Al calcio femminile, ingabbiato nella Lega Nazionale Dilettanti, non è mai stata l’opportunità di brillare mentre negli Stati Uniti e in gran parte dell’Europa i numeri crescevano.
A cosa si deve questa fiammata di visibilità?
Il calcio femminile resta molto dietro: un milione sono i calciatori maschi tesserati per la FIGC. Le donne sono poco più di 25 mila. Insomma, un rapporto di una a quaranta. E nonostante i due campionati maggiori (Serie A e Serie B), siano stati strappati dalle grinfie della Lega Dilettanti e valorizzati un po’ di più dalla FIGC, le calciatrici – anche quelle di vertice – restano de facto dilettanti, con tutto ciò che ne consegue: tetto di stipendio, nessun diritto riconosciuto, impossibilità di fare davvero carriera.
Si è mosso qualcosa però grazie al tanto vituperato Carlo Tavecchio, che nonostante alcune gaffe sulle “donne handicappate” e le frasi sulle “quattro lesbiche che pretendono solo soldi” dell’ex presidente dei dilettanti Belloli, obbligò gradualmente le squadre professionistiche a coltivare, tra le giovanili, anche squadre femminili, dando poi pure la possibilità, per alcuni anni, agli stessi club, di acquisire il titolo sportivo di squadre femminili dilettantistiche.
Il resto è storia: prima la Fiorentina, poi la Juventus, l’Atalanta, il Sassuolo, poi pure la Roma, il Milan, l’Inter (Napoli dove sei?) acquisirono le compagini dilettantistiche omologhe o quasi (la Juventus inglobò il Como, il Milan il Brescia). L’intuizione fu tra le più fortunate, dato che permise a molti tifosi di queste squadre di iniziare a seguire, per via della fedeltà alla stessa maglia, le partite e le vicende delle ragazze coi tacchetti e iniziare ad associare i nomi ai volti, alle tecniche, ai goal roboanti e spettacolari.
I numeri parlano chiaro: le partite della Serie A femminile su Sky spesso registrano più ascolti delle partite di media classifica di Serie A maschile. Gli stadi pian piano si riempiono, fino ai 40 mila che si affollarono allo Stadium per seguire Juventus-Fiorentina. Sia chiaro: non c’è nessun benefattore. Sia i club che i media hanno capito che il calcio femminile può rappresentare una straordinaria opportunità di business: se posso vendere biglietti dello stadio, magliette, scarpe da calcio, videogiochi e ogni genere di paccottiglia a bambini sognanti, perché non fare sognare pure le bambine?
La qualificazione al mondiale, dopo vent’anni, è indubbiamente frutto dell’intelligenza difensiva di Sara Gama, delle sgroppate lungo fascia di Barbara Bonansea e dei goal a raffica di Valentina Giacinti, ma anche delle strutture sportive all’avanguardia delle squadre professionistiche e dei loro preparatori atletici.
L’obiettivo delle azzurre al Mondiale di calcio femminile in Francia – le cui partite andranno in onda su Rai 2 e su Sky – è superare il turno e intanto far aumentare la visibilità e l’apprezzamento verso questo sport. Anche le atlete stesse contribuiscono a cancellare certi stereotipi sulle donne del calcio, non maschiacci impenitenti ma ragazze normalissime, proprio come le pallavoliste, le nuotatrici, le fiorettiste e le sciatrici di cui ci ricordiamo ogni quattro anni in occasione delle Olimpiadi. A differenza però di tutti questi sport, più si parla di calcio femminile, più emergono resistenze. Le solite.
Le bacheche Facebook e le sezioni commenti dei quotidiani registrano anche tante voci che ci tengono particolarmente a ribadire fino allo sfinimento che il calcio è uno sport da uomini, che le donne non sono capaci, che in seconda categoria si vede del calcio migliore. Secondo lorsignori le donne possono praticare ogni sport, ma guai a dare un calcio a un pallone. Alcuni campioni di umanità arrivano poi a soffermarsi sulle foto della capitana, quella Sara Gama che trascinò nel 2008 l’Italia alla vittoria degli europei under 18, considerata tra i difensori più forti d’Europa, unica italiana a giocare una finale di Champions quando militava nel Paris Saint Germain, consigliere di presidenza della FIGC in quota calciatori solo per sottolineare il colore della sua pelle, essendo figlia di una triestina e di un congolese, secondo loro messa in vetrina non per capacità tecniche ma per millantati piani di sostituzione etnica.
Per certo maschilismo tossico il fatto che pure le donne possano giocare (bene) a calcio rappresenta un’invasione di campo inaccettabile, un’ulteriore messa in discussione della propria fragilità. Spesso chi critica il calcio in rosa non ha mai davvero visto una partita ai massimi livelli. Chi si esalta per certe partitacce di squadrette di Serie C con il pallino dello zero a zero e del catenaccio fino alla morte perde ogni diritto di critica.
Certo, ce n’è di strada da fare: ma proprio come il tennis, la pallavolo e la scherma femminile si sono evolute valorizzando al massimo le peculiarità anche fisiche della donna, allo stesso modo il calcio femminile potrà compensare in tecnica, leggiadria e spettacolarità le immancabili carenze di potenza fisica o di velocità esplosiva proprie dei maschi.
Chi vuole lamentarsi, specie ripensando alla figuraccia della nazionale di Ventura che non si qualificò nemmeno ai mondiali di Russia, può sempre sfogarsi sui social.
Per tutti gli altri l’appuntamento è su Sky e su Raidue con il mondiale di calcio femminile domenica 9 giugno alle 13 per Australia – Italia, venerdì 14 giugno alle 18 per Italia – Giamaica e martedì 18 giugno alle 21 per Italia – Brasile. E se il viaggio terminerà qui, basterà aspettare settembre per un nuovo campionato di Serie A in rosa, che vedrà per la prima volta un derby della Madonnina tutto al femminile.